Ai sensi dell’art. 267 TFUE, quando in una controversia pendente dinanzi ad un giudice nazionale di ultima istanza – inteso quale giudice le cui sentenze non sono soggette ad impugnazione – viene sollevata una questione relativa all’interpretazione del diritto euro-unitario, detto giudice ha l’obbligo di operare il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea[1].
Con specifico riferimento all’obbligo di rinvio ai Giudici di Lussemburgo, il tenore letterale della norma appare, dunque, sufficientemente chiaro e il giudice deve effettuare il rinvio eventualmente disapplicando le eventuali previsioni interne che limitano o ostacolano l’adempimento di tale obbligo[2]. Di solito, sono le parti in giudizio a formulare la richiesta di rinvio e a suggerire i quesiti da sottoporre alla Corte, ma la decisione del rinvio è solo del giudice nazionale (cosiddetto procedimento “da giudice a giudice”).
Le possibili eccezioni all’obbligo di rinvio del giudice di ultima istanza – questione materialmente identica ad una già decisa o quesito privo di ragionevole dubbio interpretativo[3] – sono state strettamente correlate dalla Corte di Giustizia a criteri oggettivi, al fine di evitare di attribuire al giudice nazionale (di ultima istanza) un eccessivo margine di discrezionalità in merito alla scelta di attivare o meno lo strumento pregiudiziale.
Tuttavia, ad oggi, i giudici di ultima istanza e, in particolare i giudici del Consiglio di Stato, nutrono articolati dubbi, che impattano in maniera significativa sull’applicazione di un istituto chiave nel sistema euro-unitario quale è il meccanismo di cui all’art. 267 TFUE[4].
Il Consiglio di Stato, infatti, ha affermato che l’obbligo di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE grava su detto giudice quale giudice di ultima istanza nell’ambito dell’ordinamento processuale italiano e “La violazione di tale obbligo è idonea a configurare un inadempimento dello Stato membro, la cui responsabilità può essere affermata a prescindere dalla natura dell’organo statale che abbia dato luogo alla trasgressione, quindi, anche se si tratti di un’istituzione costituzionalmente indipendente, qual è il giudice nazionale (Corte di giustizia, sentenza del 4 ottobre 2018, in causa C-416/17, Commissione c. Repubblica francese, punto 107)” (così CdS, Sez. IV, sent. n. 6290/2021, punto 14.5).
Inoltre, le condizioni poste dalla Corte di Giustizia per escludere l’obbligo di rinvio pregiudiziale gravante sul giudice di ultima istanza ex art. 267 TFUE e, in particolare, quelle indicate dalla sentenza Cilfit che escludono l’obbligo in caso di assenza di ragionevoli dubbi circa la soluzione della questione di interpretazione del diritto unionale sollevata in giudizio, risulterebbero “foriere di responsabilità civile per il giudice supremo nazionale italiano, in base alla norma sancita dall’art. 2, comma 3-bis, l. n. 117 del 1988” (così CdS, Sez. IV, sent. n. 6290/2021, punto 14.10[5]).
Secondo i Giudici di Palazzo Spada ciò comporterebbe che “allo scopo di prevenire la proposizione dell’azione di risarcimento del danno (ma anche la certezza di essere coinvolti in un accertamento disciplinare ai sensi dell’art. 9, comma 1, l. n. 117 cit., pure dopo le precisazioni operate dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 169 del 2021) – il giudice nazionale è costretto a disporre un rinvio pregiudiziale pur che sia, allungando di molto i tempi di risoluzione della controversia, in violazione del principio costituzionale (art. 111, comma 2, Cost.) ed europeo (art. 47, comma 2, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea), della ragionevole durata del processo” (così CdS, Sez. IV, sent. n. 6290/2021, punto 14.10[6]).
E’ stato così richiesto alla Corte di Giustizia di verificare – tra l’atro – “se – per salvaguardare i valori costituzionali ed europei della indipendenza del giudice e della ragionevole durata dei processi – sia possibile interpretare l’art. 267 TFUE, nel senso di escludere che il giudice supremo nazionale, che abbia preso in esame e ricusato la richiesta di rinvio pregiudiziale di interpretazione del diritto della Unione europea, sia sottoposto automaticamente, ovvero a discrezione della sola parte che propone l’azione, ad un procedimento per responsabilità civile e disciplinare”[7].
I Giudici di Lussemburgo sul punto hanno stabilito che l’obbligo di rinvio pregiudiziale sussiste qualora vi siano orientamenti giurisprudenziali divergenti in seno agli organi giurisdizionali di un medesimo Stato membro (cfr. CGUE, sentenza 6.10.2021, C-561/2019, Consorzio Italian Management, punto 49 in particolare[8]; CGUE, sentenza 15.12.2022, C-144/2022, punti 45 e 53) e anche se la normativa nazionale in questione sia stata dichiarata conforme alla Costituzione da una sentenza della Corte Costituzionale dello Stato membro (cfr. CGUE, sentenza del 22.2.2022, C-430/21).
Il Consiglio di Stato ha di recente nuovamente affrontato il tema dell’obbligo per il giudice di ultima istanza di rinvio ex art. 267 TFUE ed ha così rilevato un contrasto tra le Sezioni: la Quarta Sezione, con la sentenza n. 2532 del 26.4.2018, ha ritenuto che l’omessa pronuncia sull’istanza di rimessione per travisamento del contenuto della richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea configuri un errore revocatorio; la Quinta Sezione, con la sentenza n. 838 del 28.1.2021, ha affermato che l’omesso rinvio alla Corte di Giustizia ex art. 267 TFUE non è un errore di fatto idoneo alla revocazione della sentenza, ma è un errore di diritto che non può essere fatto valere con ricorso per revocazione.
Sono state, dunque, sottoposte all’Adunanza plenaria due questioni: a) se e a quali condizioni la condotta del giudice che ometta di pronunciarsi sull’istanza di rinvio alla Corte di giustizia dell’Unione europea formulata da una delle parti in causa ex art. 267 TFUE sia qualificabile come omissione di pronuncia dovuta ad errore di fatto con conseguente ammissibilità della revocazione della sentenza pronunciata; b) in particolare, se configuri l’omissione di pronuncia di cui sopra il caso in cui il giudice non si sia pronunciato sull’istanza di rinvio in conseguenza di un fraintendimento in cui è incorso in merito alla questione di possibile incompatibilità delle disposizioni interne da applicare per risolvere la controversia con il diritto dell’Unione europea prospettata dalla parte.
L’Adunanza plenaria, con l’Ordinanza n. 13 del 19.4.2023, sulla scorta di motivazioni di ordine squisitamente processuale e non del tutto convincenti, ha restituito gli atti alla Sezione remittente senza esaminare i quesiti formulati, specificando altresì che detta Sezione avrebbe dovuto rivalutare le questioni solo nel caso in cui gli altri motivi del ricorso per revocazione fossero risultati inammissibili o infondati.
Tuttavia, il ricorso è stato respinto, senza rimettere nuovamente le questioni all’Adunanza plenaria né rinviare alla Corte di Giustizia ex art. 267 TFUE i quesiti formulati dalle parti in giudizio[9].
Dunque, pur essendo stata sollevata una questione di assoluto rilievo in tema di obbligatorietà del rinvio pregiudiziale, l’Adunanza Plenaria, con motivazioni peraltro poco persuasive, non si è pronunciata, lasciando in questo modo permanere un ampio margine di discrezionalità in merito alla scelta del giudice di ultima istanza di attivare o meno lo strumento pregiudiziale, che, nelle intenzioni della Corte di Giustizia delineate nelle succitate pronunce, andrebbe eliminato. Tale margine di discrezionalità, infatti, in quanto non ancorato a criteri oggettivi, nella pratica risulta spesso eccessivo, specie nel senso di non effettuare il rinvio pur in presenza di questioni che coinvolgono in modo evidente la compatibilità delle misure nazionali con il diritto dell’Unione europea, con inevitabile lesione delle tutele giurisdizionali e delle prerogative riconosciute ai singoli dal diritto euro-unitario.
* Professore di Diritto internazionale dei trasporti presso l’Università degli Studi di Cassino e del Lazio meridionale e Avvocato in Roma.
[1] In argomento, per tutti, vedi G. Tesauro, Manuale di Diritto dell’Unione europea, Editoriale Scientifica, 2021, vol. I, pagg. 440 ss.
[2] Vedi Corte Giust. 20.10.2011, C-396/09, Interedil, punto 35.
[3] Vedi Corte Giust. 6.10.1982, Cilfit, punti 14 ss.
[4] L’obbligatorietà del rinvio pregiudiziale è stato definito un “mito” da G. Tulumello, in “Il rinvio pregiudiziale fra mito e realtà”, pubblicato l’8.10.2021 in www.giustizia-amministrativa.it.
[5] L’art. 2, comma 3-bis, l. n. 117 del 1988 prevede che “Fermo restando il giudizio di responsabilità contabile di cui al decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639, ai fini della determinazione dei casi in cui sussiste la violazione manifesta della legge nonché del diritto dell’Unione europea si tiene conto, in particolare, del grado di chiarezza e precisione delle norme violate nonché dell’inescusabilità e della gravità dell’inosservanza. In caso di violazione manifesta del diritto dell’Unione europea si deve tener conto anche della mancata osservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267, terzo paragrafo, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, nonché del contrasto dell’atto o del provvedimento con l’interpretazione espressa dalla Corte di giustizia dell’Unione europea”.
[6] In argomento vedi, C. Peraro, Il mancato rinvio pregiudiziale d’interpretazione nello spazio giuridico europeo: quale tutela multilivello per i singoli ?, in Freedom, Security & Justice: European Legal Studies, 2022, n. 1, pagg. 279 ss. e dottrina ivi citata.
[7] Così CdS, Sez. IV, sent. n. 6290/2021, punto 17, quesito B; CdS, Sez. IV, sent. n. 490/2022; nonché CdS, Sez. IV, sent. n. 4741 del 10.6.2022.
[8] Con l’Ordinanza n. 2545 del 6.4.2022, il Consiglio di Stato, Sez. IV, anche dopo le statuizioni in argomento di cui alla sentenza della Corte di Giustizia Consorzio Italian Management, ha confermato il rinvio alla Corte di Giustizia formulato con la citata sentenza n. 6290/2021.
[9] Vedi Dispositivo di sentenza n. 8719 del 6.10.2023.