- Il 4 marzo 2025 il Presidente Trump ha adottato dazi doganali del 25% nei confronti di numerosi prodotti originari del Canada e del Messico, sostenendo che essi mirano ad indurre i due vicini a intensificare la lotta contro il traffico di fentanyl e l’immigrazione illegale, contro i quali avrebbero fino ad oggi fatto molto poco.
Misure siffatte, che mirano ad indurre o imporre a uno Stato di adottare
comportamenti o misure che altrimenti, in loro assenza, non avrebbe adottato, sono probabilmente incompatibili con il divieto consuetudinario di ingerenza e rappresentano quelle che sono dette pratiche di “coercizione economica”.
Va detto che pure in un contesto come quello contemporaneo, caratterizzato da un sempre crescente bi- e unilateralismo, i rapporti economici e commerciali fra Stati continuano comunque, anche se spesso solo in una prospettiva di base, ad essere regolati da un approccio di tipo multilaterale; comportamenti siffatti, quindi, non solo rappresentano possibili violazioni del divieto di ingerenza, come detto, ma costituiscono
al contempo forme estreme di unilateralismo “aggressivo”.
Ricordiamo che neppure due anni or sono, il 30 maggio 2023, proprio gli USA, assieme all’Unione europea, avevano adottato una dichiarazione congiunta che riconosceva la comune preoccupazione per il continuo ricorso alla coercizione economica, utilizzata da altri Stati con crescente frequenza negli ultimi anni al fine di “indebolire le legittime decisioni politiche di altri governi”, e ribadiva il comune impegno “a rafforzare la cooperazione in qualsiasi forum rilevante, inclusa la piattaforma di
coordinamento del G7 sulla coercizione economica” e “sfruttare appieno i (…) rispettivi strumenti per contrastare la coercizione economica”.
Ad ogni modo il Presidente USA ha anche indicato di voler eliminare, attraverso l’imposizione dei dazi, una serie di “squilibri commerciali” di cui gli USA sarebbero vittime: il 13 febbraio aveva già annunciato il “Fair and Reciprocal Plan”, contenuto in un Presidential Memorandum – un tipo di direttiva emessa dal Presidente per gestire e governare le azioni, le pratiche e le politiche dei vari dipartimenti e agenzie federali,
dotato di forza di legge e che viene solitamente utilizzato per delegare compiti, indirizzare specifiche agenzie governative a fare qualcosa o per avviare un processo di regolamentazione – che mirerebbe appunto a ristabilire “l’equità” nelle relazioni commerciali degli Stati Uniti.
L’obiettivo del piano sarebbe, insomma, quello di correggere supposti “squilibri” del commercio internazionale, mettere al primo posto i lavoratori americani, migliorare la competitività industriale, ridurre il deficit commerciale e rafforzare la sicurezza economica e nazionale statunitense.
Il documento evidenzia diverse pratiche commerciali non reciproche e ingiuste da parte di altri Paesi (il Brasile applicherebbe una tariffa del 18% sull’etanolo americano, mentre gli USA applicano sull’analogo prodotto importato solo il 2,5%; l’India imporrebbe una tariffa del 100% sulle motociclette statunitensi, rispetto al 2,4% applicato dagli USA; l’Unione Europea (UE) vieterebbe l’importazione di molluschi da 48 Stati americani, mentre gli USA consentono le importazioni europee senza restrizioni e applicherebbe una tariffa del 10% sulle auto importate, contro il 2,5% degli USA), critica l’imposizione di tasse sui servizi digitali da parte di Paesi come Canada e Francia e sostiene, infondatamente, la natura sostanzialmente tariffaria delle norme applicabili ai
servizi digitali (le quali, invece, qualora le si volesse leggere come ostacoli
agli scambi, andrebbero interpretate come misure di natura non tariffaria e ostacoli tecnici) e dell’IVA.
Il piano, che elogia i risultati commerciali del primo mandato di Trump, come la sostituzione del North American Free Trade Agreement (NAFTA) con lo United States – Mexico – Canada Agreement (USMCA), la protezione del settore dell’acciaio e dell’alluminio e le misure adottate contro la Cina per il furto di proprietà intellettuale, propone, quindi, tariffe asseritamente reciproche.
Qualche giorno dopo, nel corso di una lunga conferenza stampa il Presidente ha pure rilasciato ai giornalisti presenti alla Casa Bianca una serie di dichiarazioni di più ampio respiro, relative alle attività che i “suoi” Stati Uniti intenderebbero complessivamente realizzare sul piano delle relazioni internazionali, toccando i principali contesti di rilevanza per la situazione internazionale attuale, dalla guerra tra Russia e Ucraina al conflitto Israelo-Palestinese e al destino di Gaza, fino, appunto, alle questioni di rilevanza economica.
Ora, sorvolando sul surreale video prodotto con l’intelligenza artificiale diffuso sui canali social della Casa Bianca, che ci prospetta una futura Gaza come un resort, una sorta di “riviera” in cui troneggerebbe una statua d’oro dello stesso Presidente, ricordiamo che quest’ultimo ha dichiarato che intende adottare dazi doganali nei confronti dei prodotti
europei fino al 25% del loro valore, perché l’Unione europea sarebbe stata creata “to screw over the US”. - Prescindiamo pure da quest’ultima affermazione, storicamente talmente falsa al punto da esser anch’essa surreale (v. Tajoli), e cerchiamo invece di capire se il diritto internazionale contemporaneo legittimi o consenta una siffatta adozione.
Come noto, dall’istituzione dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), avvenuta nel 1995 e di cui gli stessi Stati Uniti sono stati tra i principali promotori, la materia dei dazi doganali sugli scambi di merci è regolata, sul piano internazionale, da una serie di obblighi contemplati da una parte del sistema di Accordi gestiti e amministrati dalla stessa OMC, e, in particolare, da quelli contenuti nell’Allegato 1A all’Accordo che
istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio e di cui l’Accordo generale sulle tariffe doganali ed il commercio del 1994 (General Agreement on Tariffs and Trade, GATT) costituisce il perno.
Ad essi si fa riferimento complessivamente come “il sistema merci”. (sul punto, e su tutto il sistema commerciale multilaterale, v., ampiamente, P. Picone, A. Ligustro).
Tale sistema non contempla un divieto assoluto di dazi doganali, i quali, anzi, in applicazione del principio di protezione doganale esclusiva e del connesso divieto di restrizioni quantitative (l’art. XI GATT ne prevede l’eliminazione generale), costituiscono per gli Stati gli unici strumenti legittimi di restrizione degli scambi internazionali, essendo gli altri, e in particolare le restrizioni quantitative, appunto, vietati da detti Accordi.
Il sistema di regole dell’OMC contempla pure un obbligo, quello del trattamento generalizzato della nazione più favorita, in base al quale, ai sensi dell’art. I del GATT, ogni vantaggio tariffario concesso da uno Stato membro ad un altro Stato si estende automaticamente a tutti i Membri dell’OMC. Nel momento in cui un Membro accorda a un altro Stato un determinato livello di dazio doganale, quindi, lo stesso si estende a tutti
i prodotti similari provenienti da qualsiasi Membro dell’Organizzazione.
Ciò ha comportato nel tempo, il “consolidamento” verso il basso dei dazi doganali.
Il sistema commerciale multilaterale, insomma, estende a tutti i Membri i benefici concessi anche solo ad uno di essi, al fine di vietare forme di discriminazione, e garantire così il loro pari trattamento: l’adozione di tassi doganali “generali” più elevati in danno di solo uno dei Membri, in assenza di specifiche cause di giustificazione, è, quindi, in linea di principio, vietata dalle norme del sistema commerciale multilaterale stesso. Ed è proprio grazie a questo meccanismo che, negli ultimi decenni, come dicevamo, il livello medio dei dazi doganali è sceso a valori molto molto bassi rispetto a un tempo, promuovendo gli scambi.
Ora, va ricordato che l’art. XIX GATT e l’Accordo sulle misure di salvaguardia (su entrambi v. Piérola-Castro), i quali sono forme di applicazione di quel principio di reciprocità che permea il sistema commerciale multilaterale tutto, consentono una modifica delle concessioni tariffarie già previste, qualora uno Stato si trovi in presenza
della necessità di combattere un grave pregiudizio per le produzioni nazionali che sia conseguenza di un imprevisto aumento delle importazioni, e che l’art. XII GATT permette un’analoga modifica peggiorativa al fine di tutelare la bilancia dei pagamenti:
essi, però, si riferiscono a situazioni momentanee e comunque imprevedibili, ciò che non appaiono essere quelle invocate dal Presidente Trump.
Quanto, poi, alle norme che consentono una modifica delle concessioni tariffarie (XXVII GATT), esse la condizionano a una serie di obblighi procedurali e a un negoziato con i Paesi interessati, vietando quindi la revoca unilaterale sic et simpliciter data.
Quanto poi, specificamente, al detto principio di reciprocità, esso rappresenta, con le sue peculiarità, un elemento centrale per il sistema OMC: esso, ad esempio, sotto il profilo negoziale, costituisce il parametro giuridico per determinare la “compensazione” dovuta qualora un Membro dell’OMC volesse rinegoziare una concessione (“in such negotiations and agreement, which may include provision for compensatory adjustment
with respect to other products, the contracting parties concerned shall endeavour to maintain a general level of reciprocal and mutually advantageous concessio”).
L’art. 22.4 dell’Intesa sulla risoluzione delle controversie (Dispute Settlement Understanding, DSU), pur senza farvi riferimento esplicito, lo utilizza poi come criterio per valutare la congruità di una ritorsione autorizzabile nei confronti di uno Stato che non rispetti una decisione degli Organi di soluzione delle controversie (“The level of the suspension of concessions or other obligations authorized by the DSB shall be equivalent to the level of the nullification or impairment”).
Ora, va detto che nel contesto multilaterale tale principio non assume carattere “specifico”, più adatto a rapporti bilaterali, nei quali è possibile misurare con una certa precisione un trattamento equivalente (Keohane), quanto, piuttosto, “diffuso”, che non è cioè da intendersi in termini di perfetta equivalenza tra quanto concesso e quanto ottenuto
(non “trade volumes”, ma “trade opportunities”). - La possibilità di adottare dazi più alti è, invece, consentita in presenza della necessità di tutelare valori non commerciali, come la vita e la salute (art. XX GATT) o la sicurezza nazionale (art. XXI GATT), oppure, in base a un meccanismo diverso, come mezzo di reazione a comportamenti illegittimi posti in essere da altri Membri, come può avvenire, ad esempio, in applicazione dell’Accordo sulle sovvenzioni e le misure compensative – come quelle adottate dall’Unione europea nei confronti delle automobili
elettriche cinesi le quali, secondo l’UE, si avvantaggiano di sovvenzioni pubbliche cinesi, su cui ci permettiamo di rinviare a Ruotolo – oppure per reagire a un altro comportamento vietato da un altro Accordo, il dumping sui prezzi, cioè, in buona sostanza, la vendita all’estero di un prodotto al di al di sotto del suo valore “normale” per aggredire il mercato
(v. De Baere, du Parc, Van Damme). Anche in questi casi, però, sono previste condizioni sia di rito sia di sostanza per l’applicazione delle relative misure. - Avverso strumenti qualificabili come di coercizione economica, però, l’UE, in particolare, potrebbe reagire, oltre che attraverso i meccanismi previsti dal sistema commerciale multilaterale (i quali attualmente, però, si limitano alla possibilità di fare ricorso di primo grado dinanzi ai panel, in considerazione del blocco dell’Organo d’Appello dovuto alla mancata nomina dei nuovi giudici, del fatto che gli Stati Uniti non sono parte del Multi-Party Interim Appeal Arbitration Arrangement, MPIA) applicando il regolamento (UE) 2023/2675 del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 novembre 2023 sulla protezione dell’Unione e dei suoi Stati membri dalla coercizione economica da parte di Paesi terzi, il c.d. anti-coercion instrument, ACI.
Lo strumento in questione, adottato nella consapevolezza della sempre maggiore frequenza con la quale si verificano atteggiamenti di coercizione economica, attesta l’esistenza di un atteggiamento spesso anch’ esso unilateralista da parte dell’UE e, in buona sostanza, consente alla stessa l’adozione di misure, di natura essenzialmente tariffaria, ai fini di deterrenza, volte a reagire a comportamenti di coercizione economica
adottati dagli altri Stati (in dottrina v. Silingardi).
Lo strumento prevede un particolare procedimento con un riparto di competenze tra varie istituzioni dell’Unione Europea (essenzialmente con la Commissione detentrice di un potere di indagine e proposta e il Consiglio con poteri decisori) che, in qualche maniera, ricorda quello del Trade Barriers Regulation (TBR), ed attesta comunque la consapevolezza della scarsa efficienza attuale del sistema commerciale multilaterale con
il quale, il meccanismo in parola, presenta pure profili di incompatibilità, in particolare consentendo l’adozione di sanzioni senza la necessaria autorizzazione da parte degli organi dell’OMC, e questo in violazione dell’art. 23, par. 2, lett. c) DSU, e bypassando il principio di esclusività del relativo sistema di soluzione delle controversie.
Anche questo elemento si fa quindi registrare come uno di quelli che potrebbe contribuire ad indebolire il sistema commerciale multilaterale - Va detto, poi, che l’atteggiamento assunto dal Presidente degli Stati Uniti in materia di rapporti commerciali con l’estero non è inedito, e, anzi, si era già verificato in passato: durante il primo mandato del Presidente Trump, gli Stati Uniti, come pure accennato, avevano ad esempio imposto un gran numero di dazi su acciaio e alluminio europei (US Section 232), nonché su altri prodotti provenienti da singoli Stati membri; le
questioni si erano poi risolte consensualmente, ma, come abbiamo visto, oggi le medesime misure si ripresentano sullo scenario internazionale.
L’elemento di novità è, probabilmente, la grande “schiettezza”, per così dire, con la quale determinate dichiarazioni sono oggi rilasciate, come se fosse stato eliminato, per un verso quel velo di formalità tipico delle relazioni internazionali, e per altro, ogni riferimento al diritto internazionale.
Sotto un profilo più generale, infatti, va ricordato che gli Stati, anche nel caso di patenti violazioni di obblighi di diritto internazionale, parlano sempre e comunque “la lingua” del diritto internazionale, anche solo per (cercare di) giustificare i propri comportamenti, ancorché non giuridicamente giustificabili: la Russia di Putin, ad esempio,
con riguardo alla sua “operazione militare speciale” contro l’Ucraina – che, in realtà, è un crimine di aggressione – ha affermato di stare agendo nell’esercizio del diritto di legittima difesa dalla NATO, garantito dalla Carta delle Nazioni Unite e dalla corrispondente norma di diritto internazionale generale, e che le popolazioni russofone della Crimea e del Donbass invocano il loro diritto all’autodeterminazione e desiderano
quindi che i loro territori diventino parte della Russia; parimenti ha fatto Israele, invocando, pure qui impropriamente, il diritto alla legittima difesa contro gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023, e ciò mentre realizzava e realizza una serie di sistematiche violazioni del diritto internazionale umanitario (a sua volta, secondo Israele, giustificate dal fatto che i combattenti di Hamas si nasconderebbero tra i civili) e, con ogni probabilità, un crimine di genocidio.
L’amministrazione statunitense attuale e in particolare il suo Presidente, invece, non ha mai fatto e non fa riferimento a cause di giustificazione della violazione di obblighi di diritto internazionale che, anzi, non sono neppure citati, come se gli Stati Uniti ne fossero del tutto svincolati.
Il che, ovviamente, non è.
E la volontà degli USA attuali di ignorare il diritto internazionale non si limita, purtroppo, al solo settore economico: l’elenco delle iniziative in tal senso è lungo e drammatico e comprende, tra gli altri, minacce all’integrità di un numero crescente di Stati, il ritiro da istituzioni e strumenti internazionali come l’Organizzazione mondiale della sanità e l’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, il trasferimento forzato di
due milioni di palestinesi da Gaza, il rifiuto di rispettare gli obblighi nei confronti di richiedenti asilo e rifugiati, l’adozione di sanzioni contro membri della Corte penale internazionale.
Si tratta di elementi che, però, non sono passati inosservati, neppure negli USA stessi: il 13 febbraio 2025 la American Society of International Law ha diffuso uno statement “Regarding the United States and the International Rule of Law” a firma della sua Presidentessa, Mélida Hodgson, in cui si evidenzia come “this retreat from international law is an unparalleled abdication of American responsibility and leaves a
vacuum that will only invite chaos, conflict, and violence, ultimately weakening the United States”.
Dal canto suo, l’Unione Europea, pure nella sua non enorme rilevanza nel contesto globale contemporaneo, fa apprezzabilmente segnare quanto meno una differenza di approccio e risponde facendo esplicitamente riferimento agli obblighi internazionali e al fatto che, qualora gli Stati Uniti dovessero violarli, essa reagirà nel rispetto dei meccanismi e degli strumenti da esso previsti e ci ricorda quindi che il diritto internazionale deve ancora giocare il suo ruolo di “mite civilizzatore delle nazioni”.
Prenota i corsi
Compila il form scegliendo il corso a cui vorresti prenotarti.
Riceverai una mail con tutte le informazioni del corso da te scelto.