1) La disciplina di cui all’art. 3, L. 218/1995; 2) Il contratto di concessione di vendita; 3) Conclusioni.
1) La disciplina di cui all’art. 3, L. 218/1995.
Una delle problematiche più frequenti e complesse relative ai contratti del commercio internazionale è certamente l’individuazione dell’ambito della giurisdizione in caso di conflitto tra le parti contrattuali.
Ai sensi dell’art. 3, comma 2, L. n. 218 del 31.5.1995 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato), sussiste la giurisdizione italiana anche se il convenuto non è domiciliato nel territorio di uno Stato dell’Unione europea quando si tratta di una delle materie comprese nel campo di applicazione della Convenzione di Bruxelles del 27.9.1968 concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale.
La giurisprudenza italiana ha chiarito che “In tema di giurisdizione dei giudici italiani nei confronti di soggetti stranieri, ai sensi dell’art. 3, comma 2, della l. n.218 del 1995, allorché il convenuto non sia domiciliato in uno Stato membro dell’Unione europea, la giurisdizione italiana, quando si tratti di una delle materie già comprese nel campo di applicazione della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, sussiste in base ai criteri stabiliti dal Regolamento (UE) n. 1215 del 2012, che ha sostituito il Regolamento (CE) n. 44 del 2001, a sua volta sostitutivo della predetta convenzione” (così, Cass., Sez. Un., 25.6.2021, n. 18299).
In particolare, per le controversie in materia contrattuale, la giurisdizione deve essere verificata alla stregua dei criteri stabiliti dall’art. 7 del Regolamento (UE) n. 1215 del 2012, individuando l’autorità giurisdizionale del luogo di esecuzione dell’obbligazione dedotta in giudizio (cfr. Cass., Sez. Un., 10.7.2023, n. 19571).
L’art. 7, Reg. UE n. 1215/2012 – cosiddetto Bruxelles I bis – prevede che
“Una persona domiciliata in uno Stato membro può essere convenuta in un altro Stato membro:
1) a) in materia contrattuale, davanti all’autorità giurisdizionale del luogo di esecuzione dell’obbligazione dedotta in giudizio;
b) ai fini dell’applicazione della presente disposizione e salvo diversa convenzione, il luogo di esecuzione dell’obbligazione dedotta in giudizio è:
* Professore di Diritto internazionale dei Trasporti presso l’Università degli Studi di Cassino e del Lazio meridionale – Avvocato in Roma.
— nel caso della compravendita di beni, il luogo, situato in uno Stato membro, in cui i beni sono stati o avrebbero dovuto essere consegnati in base al contratto,
— nel caso della prestazione di servizi, il luogo, situato in uno Stato membro, in cui i servizi sono stati o avrebbero dovuto essere prestati in base al contratto;
…
2) in materia di illeciti civili dolosi o colposi, davanti all’autorità giurisdizionale del luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire”.
L’individuazione del criterio di collegamento non deve farsi dipendere tanto dall’obbligazione di cui si lamenti l’inadempimento in giudizio, quanto dall’obbligazione che connota, qualifica, distingue e rende caratteristico il contratto nel suo complesso (con formula di sintesi: “obbligazione caratteristica”).
La regola dell'”obbligazione caratteristica” quale elemento discriminante la giurisdizione in materia contrattuale ha, come sopra rilevato, matrice unionale, essendosi osservato che, ai fini dell’applicazione dell’art. 7, punto 1, lett. b) Reg. 1215/12, “occorre prendere in considerazione l’obbligazione caratteristica di detti contratti quale criterio di collegamento al giudice competente (v, in tal senso, sentenze del 25 febbraio 2010, Car Trim, C-381/08, EU:C:2010:90, punti 31 e 32, e del 15 giugno 2017, Kareda, C-249/16, EU:C:2017:472, punto 40 e giurisprudenza ivi citata)” (CGUE 8 marzo 2018 cit.)” (così Cass., Sez. Un., 21.12.2020, n. 29176).
2) Il contratto di concessione di vendita.
Tra gli strumenti più diffusi nel commercio internazionale vi è il contratto di concessione di vendita, in quanto particolarmente adatto per l’organizzazione della distribuzione su mercati stranieri.
Elemento caratterizzante di tale contratto è il ruolo del concessionario, quale promotore e organizzatore della vendita dei prodotti di un determinato fabbricante su uno specifico territorio. Si crea, invero, così un rapporto duraturo di collaborazione, in base al quale il distributore vanta specifici diritti, quale la ripresa dello stock invenduto e il preavviso.
La concessione di vendita è un contratto atipico, non inquadrabile tra quelli di scambio con prestazioni periodiche, avente natura di “contratto normativo”, dal quale deriva per il concessionario il duplice obbligo di promuovere la formazione di singoli contratti di compravendita (rivendita) e di concludere contratti di puro trasferimento dei prodotti che gli vengono forniti alle condizioni fissate nell’accordo iniziale.
Si stipula così – anche in assenza di un contratto scritto che fissi fin dall’inizio le reciproche obbligazioni delle parti – un contratto di concessione di vendita e non un contratto di compravendita, anche se vi è una vendita di beni ripetuta nel tempo con uguali modalità di fornitura.
La giurisprudenza italiana ha chiarito che il contratto di concessione di vendita, “ai fini della determinazione della competenza giurisdizionale ai sensi dell’art. 7, Punto 1, lett. b), del Regolamento UE n. 1215 del 2012 (sostitutivo del Regolamento CE n. 44 del 2001) costituisce, non una “compravendita di beni” (ingenerante la giurisdizione del giudice dello Stato membro in cui gli stessi sono stati o avrebbero dovuto essere consegnati in base al contratto), ma una “prestazione di servizi” (ingenerante la giurisdizione del giudice dello Stato membro in cui i servizi sono stati o avrebbero dovuto essere prestati in base al contratto), atteso che, in conformità alle indicazioni provenienti dalla giurisprudenza della Corte di giustizia (sentenza del 15 giugno 2017, in C-249/16; sentenza del 19 dicembre 2013, in C-9/12) il concessionario – in cambio di una remunerazione costituita dal vantaggio concorrenziale derivantegli dall’esclusiva o quasi esclusiva per vendere i prodotti del concedente in un dato mercato, nonché dall’eventuale aiuto fornitogli in materia di accesso agli strumenti pubblicitari, di trasmissione del “know-how” o di agevolazioni di pagamento – svolge un’attività positiva finalizzata a garantire la distribuzione dei prodotti del concedente e a contribuire ad ampliarne la diffusione, così offrendo, anche in virtù della garanzia di approvvigionamento, ed eventualmente della sua partecipazione alla strategia commerciale del concedente, servizi e vantaggi che non possono essere offerti da un semplice rivenditore, e che si traducono nella possibilità di conquistare, a vantaggio dei prodotti del concedente, una maggiore porzione di quel mercato” (così, Cass., Sez. Un., 21.12.2020, n. 29176).
Con riferimento, più in particolare, alla qualificazione di «contratto di prestazione di servizi», va ribadito il principio per il quale la nozione di «servizi», ai sensi dell’articolo 7, punto 1, lettera b), secondo trattino, del Regolamento Bruxelles I bis implica, quanto meno, che la parte che li fornisce effettui una determinata attività in cambio di un corrispettivo. Per quanto attiene al primo criterio che figura in tale definizione, vale a dire l’esistenza di un’attività, va precisato che esso richiede il compimento di atti positivi, escludendo meri atti omissivi. Nel caso di un contratto avente ad oggetto la distribuzione dei prodotti di una delle parti ad opera dell’altra parte, tale criterio corrisponde alla prestazione caratteristica fornita dalla parte che, assicurando tale distribuzione, partecipa allo sviluppo della diffusione dei prodotti di cui trattasi. Quanto al secondo criterio, vale a dire quello della remunerazione riconosciuta quale corrispettivo per un’attività, si deve sottolineare che quest’ultimo non può essere inteso in senso restrittivo come versamento di una somma di denaro, potendosi ritenere che il beneficio derivante da un insieme di vantaggi che rappresentano un valore economico costituisca una remunerazione (cfr. Corte di Giustizia dell’Unione europea, causa 393/22 del 14.9.2022).
Si osserva, inoltre, che ai fini della determinazione della giurisdizione ai sensi del Regolamento n. 44/2001, l’interpretazione giurisprudenziale delle previsioni di cui a detto Regolamento, in quanto equivalenti a quelle del Regolamento UE n. 1215/2012, vale anche per quest’ultimo il Regolamento (cfr., ex plurimis, Corte di Giustizia dell’Unione europea 14.9.2023, causa 393/22).
3) Conclusioni.
In conclusione, la disciplina eurounitaria in tema di ambito della giurisdizione ha un’incidenza di assoluto rilievo nei conflitti tra le parti di un contratto di commercio internazionale, specialmente negli accordi più diffusi quale quello di compravendita e di concessione di vendita.
In particolare, l’art. 3, comma 2, L. n. 218/1995, nel rinviare all’applicazione dei criteri di cui alla Convenzione di Bruxelles del 1968 e alle successive modificazioni, fa sì che nelle controversie del commercio internazionale incidano non solo dette normative, ma anche la correlata giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, che l’interprete deve applicare ai fini della definizione di dette controversie.