La nuova class action tra legge nazionale e direttiva europea (che ha “dimenticato” gli illeciti antitrust)

In via di pubblicazione negli atti della XV edizione della Treviso Antitrust Conference sul tema “Antitrust fra diritto nazionale e diritto dell’Unione Europea” (16 – 17 giugno 2022).

Paolo Martinello*

(*) Avvocato a Milano, Presidente della Fondazione Altroconsumo, Professore a contratto alla IULM di Milano (Corso di Laurea Magistrale – Docenza su Tutela dei consumatori). 

Abstract

I rimedi risarcitori collettivi, oggetto di ampio dibattito in Europa e in Italia da molti anni per una più efficace tutela dei consumatori e più in generale dei danneggiati da illeciti antitrust, svolgono una funzione indispensabile quale strumento di accesso alla giustizia e di regolazione del mercato. L’azione di classe prevista dall’art. 140 bis del Codice del Consumo, dopo dieci anni di applicazione segnata da difficoltà ma anche da alcuni primi significativi successi, è stata affrettatamente abrogata e ridisegnata nel 2019, trasformandola in uno strumento di diritto comune. La novella del 2019 amplia i soggetti tutelati e l’ambito di applicazione, consente l’adesione dei class members (opt-in) anche nella fase post sentenza di accertamento e condanna generica, ma prevede una “terza fase” dell’azione poco funzionale, nella quale viene frustrato il ruolo dei soggetti collettivi che promuovono e gestiscono l’azione ed emerge una contraddittoria “individualizzazione” della quantificazione del danno subito dagli aderenti, che rischia di rendere del tutto inefficace la nuova azione. La direttiva UE 2020/1828 sulle azioni rappresentative in materia di consumer law non contempla gli illeciti antitrust nel suo ambito di applicazione, ma impone una serie di correttivi alla normativa nazionale che, se correttamente attuati, consentiranno di eliminarne alcune storture e migliorarne le potenzialità.  

  1. I rimedi risarcitori collettivi come strumento di accesso alla giustizia e regolazione del mercato

Sono trascorsi oltre quarant’anni da quando, nel suo monumentale trattato sull’accesso alla giustizia, il Prof. M. Cappelletti affermava che “accesso alla giustizia significa tradurre le leggi nella realtà”, esprimendo in modo efficace un concetto elementare ma al contempo trascurato: il “processo”, incidendo sul modo in cui il diritto sostanziale opera e viene in concreto applicato, assolve ad un’importante funzione sociale ed economica.

La problematica dell’accesso alla giustizia è stata oggetto di particolare attenzione nell’ambito della politica di tutela dei consumatori promossa a livello comunitario, che sin dal 1993aveva individuato, tra le possibili linee di azione auspicabilianche l’adozione di strumenti di tutela collettiva, adeguati a gestire un contenzioso di massa caratterizzato dagli effetti seriali che un illecito commesso da un’impresa può determinare ad un numero elevato di consumatori e utenti.

In una moderna economia di mercato, un illecito concorrenziale, una pratica commerciale scorretta o un errore nella produzione o distribuzione di beni o nella fornitura di servizi può danneggiare un numero elevato di consumatori, azionisti, distributori e altri operatori economici concorrenti. In altre parole, “l’attività di impresa tende a proiettarsi sulla massa”.

La disciplina del contenzioso di massa è una risposta a questa criticità: danni collettivi richiedono rimedi risarcitori collettivi (collective redress), che pertanto costituiscono al contempo strumenti di accesso alla giustizia e di regolazione del mercato (ovvero delle condotte economiche delle imprese).    

Sotto il primo profilo – quello  di una maggiore efficienza ed economia processuale (procedural efficiency) – gli strumenti di collective redress dovrebbero essere in grado di garantire, rispetto ai tradizionali mezzi di tutela individuale, un più agevole accesso dei danneggiati al risarcimento, il superamento della sproporzione tra valore della lite e costi/rischi/tempi del processo individuale, utili economie di scala, l’ammortamento dei costi e dei tempi, la prevenzione di contrasti tra giudicati, la risoluzione al minor costo possibile di un elevato numero di controversie seriali.

Sotto il secondo profilo – quello di una maggiore equilibrio e correttezza nel mercato – gli strumenti di gestione collettiva del contenzioso dovrebbero determinare, dal puto di vista del danneggiato,  il superamento della “domanda di giustizia inespressa” derivante dalle diseconomie tipiche dei rimedi individuali (c.d. undercompensation e underdeterrence) e, dal punto di vista dell’impresa, la necessità di internalizzare i rischi derivanti da atti illeciti o da errori/incidenti, rappresentando un incentivo a tenere comportamenti prudenti e conformi alle regole (regulatory enforcement and deterrence).

Sotto entrambi i profili, i rimedi risarcitori collettivi sono comunemente considerati quali tipico strumento di private enforcement: consentendo un più facile accesso alla giustizia da parte dei danneggiati e la riduzione (se non la rimozione) dei margini di guadagno illecito conseguiti dall’impresa che ha messo in atto comportamenti non conformi ai suoi obblighi (contrattuali o extracontrattuali), a danno dei consumatori e delle imprese concorrenti che hanno agito nel rispetto delle regole, i rimedi risarcitori collettivi, in aggiunta ai tradizionali strumenti di public enforcement, contribuiscono alla applicazione e al rispetto delle leggi e quindi ad accrescere la fiducia nella giustizia e nel mercato da parte dei consumatori e dei concorrenti e allo sviluppo di un sistema economico più efficiente, corretto e competitivo.

E’ interessante notare come fu proprio a seguito di un illecito antitrust che in Italia si iniziò per la prima volta a parlare di class action, all’indomani del provvedimento dell’AGCM del 2000 che accertò e sanzionò un cartello nel mercato della r.c.auto che coinvolgeva 39 Compagnie assicurative, al quale fecero seguito migliaia di azioni individuali di singoli assicurati, dagli esiti incerti e disomogenei. 

Ulteriore impulso all’introduzione nel nostro Paese di una azione collettiva risarcitoria a tutela dei consumatori è derivato dai noti scandali finanziari del 2003-2004 (in particolare dai crack Parmalat, Cirio, Giacomelli), che posero all’attenzione del legislatore la necessità di rendere disponibile alle vittime di dissesti finanziari di grande imprese, originati da comportamenti illeciti, uno strumento di tutela processuale collettiva.

Del resto, come vedremo, anche a livello comunitario le timidezze e le resistenze  all’introduzione in Europa di innovativi strumenti di tutela collettiva risarcitoria (benché secondo un modello volutamente diverso da quello delle class action di stampo nord-americano) sono state superate con l’approvazione della Direttiva n.1828/2020 sulle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori, che difficilmente avrebbe visto la luce se non fosse scoppiato nel 2015 lo “scandalo dieselgate”, causato dalle pratiche commerciali scorrette poste in essere da Volkswagen.

E’ quindi la forza dei fatti e degli eventi traumatici – soprattutto di quelli indesiderati e che provocano gravi pregiudizi non solo ai consumatori e ai cittadini ma anche alle imprese e al mercato, sia in termini di costi che di fiducia – che ha condotto all’adozione di riforme e di nuovi e più adeguati rimedi, ivi compresi quelli lungamente sollecitati e attesi e che, se adottati più tempestivamente, avrebbero forse consentito di prevenire i market failure che li hanno resi alla fine necessari.

  1. L’azione di classe dal Codice del Consumo al Codice di Procedura Civile: due passi avanti e un salto indietro

Esula dal presente contributo un’analisi dettagliata delle normative succedutesi nel tempo in Italia e volte a disciplinare l’istituto dell’azione di classe.

In estrema sintesi, va ricordato che, dopo l’approvazione di una prima normativa nel 2008 dedicata alla “azione collettiva risarcitoria” (di fatto mai entrata in vigore), l’azione di classe ha trovato nel 2010 una sua specifica disciplina con l’inserimento dell’art. 140 bis nell’ambito del Codice del consumo.

Da ultimo, la L.31/2019 ha abrogato (pro futuro) l’art.140 bis e ha collocato la nuova zione di classe nell’ambito del Codice di Procedura Civile (art. 840 bis e seguenti), la cui entrata in vigore è peraltro avvenuta solo in data 19 maggio 2021.

Ci si limiterà pertanto in questa sede a richiamare le principali modifiche introdotte dalla riforma del 2019 alla previgente disciplina dell’art. 140 bis, la quale peraltro allo stato non può essere ancora “archiviata”: la L.31/2019, infatti, ha previsto da un lato la sua formale abrogazione, dall’altro la sua perdurante applicabilità alle condotte illecite (consumeriste) poste in essere prima dell’entrata in vigore della riforma. Ciò all’evidente scopo di contenere i presunti rischi per le imprese derivanti dal nuovo regime processuale, ma così sacrificando la tutela dei danneggiati e introducendo un quadro normativo contraddittorio e inutilmente complesso. 

La previsione di un “doppio regime” dell’azione, a seconda della collocazione temporale dell’illecito risulta in evidente contrasto con i consolidati principi di diritto processuale (tempus regit actum e tempus regit processum) e, oltre ad aver suscitato perplessità e critiche, pone il rilevante problema interpretativo sul regime processuale applicabile ai casi nei quali le condotte illecite ai danni dei consumatori non abbiano carattere istantaneo, bensì continuativo (come di regola avviene nei casi di illecito concorrenziale o di pratica commerciale scorretta) e abbiano avuto inizio prima del 18 maggio 2021 e siano proseguite successivamente a tale data. Sono rimasti inascoltati gli inviti di alcuni autorevoli autori che caldeggiavano un ripensamento del legislatore, prevedendo l’applicazione della nuova normativa a partire dal momento della sua entrata in vigore, a prescindere dalla data di commissione dell’illecito.

Va premesso che, per quanto l’azione di classe ex art. 140 bis non abbia avuto una applicazione particolarmente estesa e necessitasse di alcuni “interventi di manutenzione” alla luce delle esperienze maturate nei primi anni di applicazione, non pare che essa meritasse di essere giudicata, come spesso (ma ingenerosamente) avvenuto, del tutto inefficace e sostanzialmente fallimentare. Certo è che nessuno sentiva l’esigenza di una sua pressoché completa riscrittura, che è stata piuttosto il frutto – per molti versi affrettato e senza alcuna approfondita consultazione preventiva delle parti interessate – di una particolare stagione politica.     

Ciò premesso, vi è un generale consenso sul fatto che le principali innovazioni introdotte dalla riforma del 2019 riguardino i seguenti aspetti dell’azione di classe: 

  1. lo scopo dell’azione, ora ampliato e volto a tutelare non più solo i consumatori e gli utenti ma gli appartenenti ad un gruppo di soggetti danneggiati da un illecito plurioffensivo, con la trasformazione dell’azione di classe in un rimedio utilizzabile in generale dagli appartenenti ad una classe omogenea;
  2. il meccanismo di raccolta della classe, prima composta solo dai soggetti (consumatori e utenti) che manifestavano espressamente la volontà di aderire all’azione entro i ristretti limiti temporali previsti successivamente all’ordinanza di ammissibilità dell’azione (secondo il meccanismo noto come “opt-in” ora meglio definibile come “early opt-in”) e ora ampliata anche ai soggetti appartenenti alla classe che aderiranno all’azione nella fase che segue la sentenza di accertamento dell’illecito e di condanna generica del convenuto al risarcimento del danno (secondo il meccanismo definibile come “late opt-in”);
  3. la struttura del processo, prima suddiviso in due fasi (una preliminare di ammissibilità dell’azione e una di merito, volta all’accertamento dell’illecito e alla condanna al risarcimento del danno a favore degli aderenti), ora articolato in tre fasi, che prevedono, dopo la dichiarazione di ammissibilità dell’azione e la sentenza di accertamento e condanna generica, una successiva e complessa “terza fase” volta alla definitiva raccolta della classe e alla quantificazione del danno spettante a ciascuno degli aderenti (secondo un modello assimilabile per molti versi al processo concorsuale fallimentare).

I primi due interventi della riforma meritano sicuro apprezzamento, il terzo desta dubbi e perplessità.

  1. L’ampliamento dei soggetti tutelati e dell’ambito di applicazione: l’azione di classe diventa strumento di “diritto comune”.

L’ampliamento della tutela offerta dall’azione di classe dai soli consumatori e utenti ai soggetti appartenenti alla classe (intesa come insieme di soggetti, sia persona fisiche che giuridiche, lesi dallo stesso illecito) e la sua collocazione all’interno del Codice di Procedura Civile conferiscono allo strumento natura squisitamente processuale, utilizzabile in tutti i casi di illeciti plurioffensivi che abbiano danneggiato una classe di soggetti che versano in posizione giuridica omogenea nei confronti del responsabile. L’ambito di applicazione dell’azione si allarga pertanto dal diritto del consumo e dagli illeciti consumeristi, ad una gamma potenzialmente illimitata di materie (ad es. al diritto del lavoro, alla tutela dell’ambiente, alle normative contro gli atti discriminatori e l’abuso di dipendenza economica, etc.), conferendo all’azione la natura di strumento di diritto comune.

Va evidenziato come anche il diritto della concorrenza gode di un ampliamento degli strumenti di tutela dei soggetti danneggiati: infatti, mentre l’art. 140 bis, pur  ricomprendendo già nel suo ambito di applicazione anche gli illeciti antitrust, consente l’azione di classe per i danni subiti dai soli consumatori, l’art. 840 bis, nel confermare ovviamente la sua applicabilità anche a tale materia, estende la tutela processuale anche alle imprese danneggiate dagli stessi illeciti. 

Va inoltre ricordato che un importante settore imprenditoriale, quello delle c.d. microimprese, pur godendo già, al pari dei consumatori, della tutela sostanziale prevista dal Codice del Consumo in materia di pratiche commerciali scorrette, era escluso dalla tutela offerta dall’azione di classe consumerista dell’art. 140 bis, che rimaneva riservata a consumatori e utenti. Tale difformità di trattamento viene ora sanata dalla riforma. 

Ed è proprio in questi settori (del danno da illecito antitrust subito alle imprese in generale e del danno da pratica commerciale scorretta subito dalle micro/piccole/medie imprese) che la riforma potrebbe produrre effetti particolarmente significativi, nell’interesse dei soggetti danneggiati e del mercato.

Al contempo, l’ampliamento dell’ambito di applicazione dell’azione di classe anche a tutela di soggetti imprenditoriali rende sempre meno condivisibili le resistenza che il mondo delle imprese tuttora riserva alla azione di classe, che continua ad essere pregiudizialmente considerata come uno strumento “anti-impresa” o “anti-mercato”, quando invece essa andrebbe letta, ancor più alla luce della riforma del 2019, come uno strumento di regolazione del mercato e di deterrenza verso comportamenti scorretti ed illeciti da parte delle imprese (a vantaggio non solo dei consumatori ma anche dei concorrenti che hanno agito correttamente).

  1. La “seconda finestra” per la raccolta delle adesioni all’azione di classe (“late opt-in”) 

Quanto alla nuova tempistica prevista per la raccolta della classe, ed in specie alla facoltà di adesione anche successivamente alla sentenza di accertamento dell’illecito e di condanna generica (late opt-in), si tratta di una misura chiaramente diretta ad incrementare l’efficacia dell’azione collettiva, ampliando il numero dei soggetti, membri della classe, che potranno accedere all’eventuale ristoro, tentando in tal modo di superare – o quanto meno ridurre – l’intrinseca inefficienza derivante da un sistema di solo early opt-in, che inevitabilmente si traduce, di fatto, nel coinvolgimento di un numero di aderenti largamente inferiore rispetto ai class members potenziali, diversamente da quanto avviene nell’opposto modello opt-out.

La possibilità di adesione “tardiva” consente all’aderente di beneficiare di una maggiore consapevolezza, dal momento che l’azione, oltre che aver superato il filtro di ammissibilità, è stata ritenuta fondata nel merito con sentenza di accertamento. Anche l’aderente “tardivo”, al pari del “preventivo”, dovrà comunque dimostrare la sua appartenenza alla classe e il danno subito, elementi che, nel complesso iter previsto dalla “terza fase”, comportano residui margini di incertezza sull’esito finale, oltre che sull’eventuale gravame,  onde non può propriamente affermarsi che il late opt-in consenta all’aderente “tardivo” di salire sul “carro dei vincitori”.

Inoltre, se la possibilità di late opt-in costituisce probabilmente un disincentivo alle transazioni nella prima fase dell’azione, queste potrebbero essere per contro incentivate nella terza fase, in quanto l’adesione “tardiva”, consentendo di raccogliere un numero verosimilmente più elevato di aderenti, dovrebbe attrarre all’interno del processo tutti (o quasi) i soggetti effettivamente interessati è così permettere al convenuto di valutare con più cognizione di causa la possibilità di pervenire a soluzioni transattive globali ed il loro costo, risultando ridotto il rischio di azioni individuali collaterali all’azione collettiva.   

iii. La terza fase del processo: la “frantumazione” del danno omogeneo, il ruolo “ibrido” del rappresentante comune e la “scomparsa” del ricorrente

La terza rilevante innovazione della riforma del 2019, relativa alla introduzione, dopo la sentenza di accertamento e condanna generica, di una terza fase del processo finalizzata alla quantificazione del danno, desta invece numerose perplessità e preoccupazioni: l’ingiustificata pesantezza e complessità dell’iter e dei meccanismi processuali ivi previsti e la tendenziale “personalizzazione” del danno ivi prevista, comporteranno una prevedibile dilatazione della tempistica complessiva del processo necessaria per pervenire ad un risultato utile per la classe dei danneggiati e soprattutto un allontanamento dal modello di azione di classe quale rimedio a danni seriali ed omogenei.  

E’ stato giustamente osservato che all’aderente, benché “non assume la qualità di parte” (art. 840-quinques, co.1, come già previsto dall’art. 140 bis), nella terza fase sono state attribuite facoltà tali da renderlo una “quasi parte”. Depongono in tal senso i meccanismi procedurali finalizzati alla quantificazione del danno previsti dagli art. 840-septies e 840-octies, quali gli elementi di “personalizzazione” dell’atto di adesione nonché il complesso contraddittorio tra resistente, rappresentante della classe e singoli aderenti sulla misura del danno richiesto da ciascuno di essi, che culmina con l’emissione da parte del giudice delegato di un “decreto motivato” con il quale, se accoglie la domanda di adesione, condanna il resistente al “pagamento delle somme dovute a ciascun aderente” (art. 840-octies, co. 5). Attività e passaggi che, per inciso, non si vede come l’aderente possa gestire senza l’assistenza di un difensore (benché l’art. 840-septies, co.6 si premuri di escluderne l’obbligatorietà) o comunque di una struttura adeguata, con la conseguente ulteriore individualizzazione e frantumazione del contenzioso che la presenza dei (potenzialmente numerosissimi) difensori prevedibilmente comporterà.

Un altro aspetto della “terza fase” che merita attenzione e suscita non poche perplessità, è l’introduzione della figura del “rappresentante comune degli aderenti”, al quale la legge attribuisce una funzione cruciale nella quantificazione del danno spettante a ciascun aderente, attraverso la redazione del “progetto dei diritti comuni” (si presume di natura risarcitoria), assumendo una posizione di non semplice inquadramento. Da un lato, infatti, il rappresentante comune è definito “pubblico ufficiale” (art. 840-sexies, co. 2), scelto dal giudice tra i soggetti abilitati a svolgere la funzione di curatore fallimentare. Al contempo, però, gli aderenti devono conferire al rappresentante comune un “potere di rappresentanza”, tanto da farlo ritenere un“portavoce” degli aderenti, vale a dire una sorta di loro “difensore d’ufficio”. Ma tale ruolo mal si adatta alla gestione del contraddittorio con gli aderenti già ricordato, che può dar luogo a potenziali conflitti con i singoli aderenti, come si ricava dal fatto che all’aderente è attribuita la facoltà di revocare il potere di rappresentanza conferito al rappresentante comune, rendendo in tal modo inefficace l’adesione (art. 840-septies, co.7), nonché quella di revocare la stessa adesione prima che diventi definitivo nei suoi confronti il decreto del giudice relativo alla quantificazione dei danni, rimanendo così tale aderente libero di introdurre un’azione individuale (art. 840-undecies, ult. co.), attraverso un meccanismo di sostanziale “opt-out” dalla classe.

Sembra quindi più appropriato definire il rappresentante comune una figura “ibrida”, che svolge funzioni di mandatario degli aderenti, ma al contempo, in certa misura, di “ausiliario” del giudice (dal quale, non dimentichiamo, è stato nominato e può essere revocato, art. 840-sexies, co.2), assumendo così ruoli difficilmente conciliabili tra loro.

Questo ruolo “ibrido” del rappresentante comune, che non contribuisce certo a semplificare e a rendere più spedita e agevole la “terza fase” del processo, sembra confermato anche dalle funzioni attribuitegli nell’ambito di eventuali ipotesi di accordi transattivi maturate in tale fase, sulle quali il singolo aderente può dapprima esprimere le sue “motivate contestazioni” (art. 840-quaterdecies, co.4) e successivamente, ove l’accordo sia concluso a seguito di autorizzazione del giudice, privare il rappresentante della facoltà di transigere (art. 840-quaterdecies, co.7). 

Infine, un ulteriore motivo di perplessità sul ruolo del “rappresentante comune” deriva dal fatto che nella “terza fase” questa figura sostituisce in toto il ricorrente, che viene di fatto “espulso” dal processo 

Infatti, nella “terza fase” il ricorrente, anche qualora sia una organizzazione o associazione legittimata (della quale pertanto il giudice ha valutato la capacità di curare adeguatamente gli interessi della classe al momento della ammissione dell’azione ex art. 840-ter, co.4) è privato di ogni ruolo e funzione, non riceve più alcun atto, non interloquisce con il rappresentante comune, non può impugnare il decreto di liquidazione dei danni, non negozia l’eventuale transazione, non riceve alcun rimborso delle spese extraprocessuali per la pubblicizzazione dell’azione e in generale per l’informazione ai (e la gestione dei) soggetti interessati che ad esso hanno fatto e continueranno a fare riferimento, né tantomeno alcun compenso premiale (riservato al rappresentante comune e ai legali, ivi compresi quelli del ricorrente), pur essendo il soggetto che probabilmente lo meriterebbe maggiormente. In sintesi, non è più parte dell’azione di classe. 

Si tratta di una impostazione penalizzante per l’ente collettivo che ha promosso e gestito l’azione fino alla sentenza e che si presume sia il soggetto più prossimo agli aderenti e maggiormente motivato a rappresentare adeguatamente i loro interessi anche, anzi soprattutto, nella fase della quantificazione del danno o della negoziazione di eventuali transazioni, nelle quali invece non ha voce in capitolo. Il ricorrente collettivo costituisce di fatto il vero “motore” della azione di classe, avendola non solo ideata e promossa, ma avendone anche sopportato gli oneri organizzativi e gestionali e che si trova pertanto nella posizione migliore e più appropriata per rappresentare gli interessi degli aderenti, sia di fronte al giudice che nell’ambito di eventuali accordi transattivi. 

Tale situazione, del tutto illogica e ingiustificata, potrebbe essere parzialmente mitigata ove il legale del ricorrente venisse nominato dal giudice rappresentante della classe, soluzione che, benché in astratto condivisibile, appare incerta. 

Nel complesso, l’impostazione e i meccanismi processuali della “terza fase” contraddicono la natura collettiva dell’azione di classe e vanificano gli sforzi fatti dalla giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, per una corretta interpretazione e applicazione del concetto di “omogeneità” del danno, attraverso la quale le sentenze emesse nei casi più significativi sinora decisi,  sono pervenute ad una quantificazione standardizzata, comune a tutti gli aderenti, sfociata nell’attribuzione dello stesso importo risarcitorio a ciascun aderente o di importi quantificati per “sotto classi”, in tal modo dimostrando una positiva e forse inaspettata vitalità dell’azione ex art.140 bis.

Le criticità della “terza fase” del processo contraddicono quindi l’obiettivo di potenziare e rendere più efficace l’azione di classe, come era nella intenzioni dei promotori della riforma del 2019.

iv. Le altre modifiche introdotte dalla L. 31/2019 

Meno significative risultano le altre modifiche, più formali che sostanziali, introdotte dalla riforma del 2019 all’impianto dell’azione di classe ex art. 140 bis in tema di legittimazione attiva e passiva, di oggetto dell’azione e di requisiti di ammissibilità.

Vanno però segnalati, in tema di legittimazione attiva, i rilevanti rischi di vanificare l’operatività della riforma derivanti dalle misure relative alla individuazione dei soggetti collettivi legittimati all’azione e dalla deriva burocratico-amministrativa che si sta verificando in tale ambito. 

L’art. 840-bis co.2 prevede che le organizzazioni e le associazioni legittimate all’azione siano solo quelle “iscritte in un elenco pubblico istituito presso il Ministero della Giustizia”, istituito a distanza di quasi due anni con D.M. n.27/2022, il quale ha fissato criteri di iscrizione gravosi, illogici e in taluni casi impossibili da rispettare da parte delle organizzazioni e associazioni.

Non a caso, a settembre 2022, a distanza di oltre 6 mesi dall’approvazione del Decreto, all’elenco ministeriale non risulta iscritta nessuna organizzazione od associazione, ad eccezione delle associazioni di consumatori già iscritte all’elenco del MISE di cui all’art. 137 Codice del Consumo, per le quali il decreto (art.1 co.4) ha previsto l’inclusione nel nuovo elenco del Ministero della Giustizia “ai fini del primo popolamento”.

Alcuni dei criteri fissati dal Decreto travalicano ampiamente quelli previsti dalla Legge 31/2019 per l’iscrizione al registro del Ministero della Giustizia, onde l’atto amministrativo che li ha introdotti potrebbe risultare viziato. Per inciso, va osservato che anche i criteri per l’iscrizione delle associazioni di consumatori all’elenco del MISE risultano esorbitanti ed incoerenti rispetto a quelli indicati dalla legge per l’individuazione dei soggetti collettivi legittimati all’azione di classe, essendo oltretutto l’iscrizione all’elenco del MISE finalizzato a garantire la rappresentanza dell’associazione a livello istituzionale e non processuale. 

I criteri di iscrizione al registro del Ministero della Giustizia andranno quindi rivisti e corretti. In mancanza, gli enti collettivi, che dovrebbero costituire il principale “motore” dell’azione di classe, rischiano di restare delegittimati e pertanto compromettere l’attuazione della riforma. Modifiche che peraltro appaiono indispensabili anche alla luce della imminente attuazione della Direttiva 1828/200 (su cui infra al paragrafo 6). 

  1. La L.31/2019 non ha risolto le criticità operative dell’azione di classe consumerista

L’attenzione del legislatore (ma anche dei commentatori) si è inevitabilmente concentrata sulla disciplina legale e i meccanismi processuali della azione di classe vigente in Italia dal 2010, ora riformata (meglio sarebbe dire “affiancata”) dalla L.31/2019, senza dedicare la dovuta attenzione alle problematiche operative e “pratiche” di questo tipo di azioni, emerse in occasione dell’applicazione dell’art. 140 bis.

Ci riferiamo in primo luogo alle criticità derivanti da un modello di raccolta della classe basato sul sistema opt-in, che rappresentano un aspetto cruciale dell’azione e meritano pertanto di essere brevemente ricordate. 

Il sistema opt-in, basato sulla necessaria ed espressa manifestazione di volontà di aderire all’azione da parte del singolo class member, nonché sul deposito di un atto di adesione (corredato dalla documentazione atta a dimostrare l’appartenenza alla classe), impone rilevanti oneri organizzativi e gestionali sia al proponente (ora ricorrente), sia al sistema giudiziario, ai quali non sembra che il legislatore abbia finora dedicato particolare attenzione.   

Limitandoci agli aspetti più rilevanti di tali oneri organizzativi, vanno ricordati, quanto al proponente ex art.140 bis:

  1. lo svolgimento di una attività pre-processuale volta alla raccolta dei dati dei potenziali futuri aderenti (i c.d. “pre-aderenti”), indispensabile anche al fine di verificare il grado di interesse all’azione tra i membri della classe e quindi misurare il livello di partecipazione atteso e la stessa sostenibilità economica dell’azione;
  2. la pubblicazione (a spese del proponente) dell’ordinanza di ammissibilità dell’azione nelle forme stabilite dal Tribunale (di regola a mezzo del tradizionale estratto sui principali quotidiani, nelle pagine degli annunci legali, tanto costoso quanto inefficace ai fini dell’informazione della classe), necessaria a pena di improcedibilità dell’azione (art. 140 bis co.9); 
  3. la conseguente messa in atto di attività informative aggiuntive e più efficaci, non obbligatorie ma di fatto necessarie al fine di raccogliere il maggior numero possibile di adesioni, i cui costi restano a carico del proponente (non essendo recuperabili neppure in caso di esito favorevole del giudizio), al pari della inevitabile attività di back office finalizzata a fornire informazioni, chiarimenti e assistenza ai singoli aderenti che ne facciano richiesta;
  4. la raccolta e il deposito delle adesioni, ove effettuato da parte del proponente (come consentito dall’art. 140 bis co.3), nonché la raccolta delle adesioni depositate direttamente dagli aderenti in Tribunale e la gestione dei contatti con gli aderenti nel corso del giudizio.

Quanto alle criticità operative e gestionali che devono essere fronteggiate dal sistema giudiziario, basti ricordare:

  1. la ricezione in Cancelleria degli atti di adesione e la gestione dei relativi dossiers che pervengono a mezzo PEC, posta e fax in un breve arco di tempo e la loro catalogazione e conservazione;
  2. la necessità di nominare ausiliari del giudice per l’indicizzazione/digitalizzazione delle adesioni e dei relativi dossier, anche per il successivo esame della loro completezza, pertinenza e validità (ai fini dell’appartenenza dell’aderente alla classe, dell’ammissibilità dell’adesione, etc.).

Come è possibile notare, si tratta di aspetti molto concreti e pratici attinenti alla gestione dell’azione di classe, ben lungi dalle usuali problematiche teoriche dibattute dai processualisti, ma ciò non di meno vitali per il successo e la funzionalità dell’azione collettiva.

La novella del 2019 risolve solo in minima  parte le problematiche operative evidenziate, che in alcuni casi risultano addirittura aggravate:

  1. per quanto attiene ai mezzi di informazione della classe ai fini dell’adesione, la riforma prevede la pubblicazione dell’ordinanza di ammissibilità sul portale dei servizi telematici del Ministero della Giustizia (art. 840-ter cpc co.2 e 5, art.840-sexies co.1.e), eliminando l’obbligo a carico del proponente (ora ricorrente) di provvedere alle specifiche forme di pubblicità stabilite dal giudice, a pena di improcedibilità dell’azione. Viene quindi meno un costo non indifferente a carico del ricorrente per una attività di scarsa efficacia, ma pare  evidente che la pubblicazione del provvedimento di ammissione dell’azione su un portale istituzionale sia anch’essa priva di reale efficacia informativa per la classe, che dovrà essere raggiunta con altri canali e strumenti.  Permane quindi – anzi per certi versi si rafforza – la necessità di comunicazioni informative aggiuntive ai potenziali aderenti, sempre a carico del ricorrente e presumibilmente non recuperabili dalla controparte. Non è stata prevista alcuna misura volta ad imporre un obbligo di disclosure sui componenti della classe a carico del convenuto, ove questi ne sia in possesso, che avrebbe consentito una informazione “mirata” agli effettivi class members, evitando non solo attività superflue ma anche il clamore mass mediatico derivante da una comunicazione pubblica generalizzata, che viene ricevuta da una massa di soggetti estranei alla classe (e ciò contro l’interesse della stessa impresa convenuta);
  1. per quanto attiene alla raccolta e gestione delle adesioni, le criticità e gli oneri organizzativi sopra evidenziati risultano potenzialmente aggravati dal deposito delle adesioni solo mediante inserimento della relativa domanda nel fascicolo informatico avvalendosi di un’area del portale dei servizi telematici del Ministero della Giustizia (art. 840-septies co.1, ai quali non è chiaro se e in che modo il ricorrente avrà accesso), dalla soppressione della possibilità di aderire tramite il soggetto proponente (prevista dall’art. 140 bis co.3, che consentiva una raccolta ab origine degli aderenti da parte del proponente) e dal contraddittorio “allargato” tra resistente, rappresentante della classe e i singoli aderenti (art. 840-octies) ora previsto nella terza fase dell’azione, nel corso della quale sul ricorrente ente collettivo continueranno inevitabilmente a gravare, di fatto, i rilevanti oneri organizzativi sopra ricordati relativi alla gestione della classe, aggravati dal fatto che ora a tale attività non corrisponde alcun ruolo processuale; 
  2. lo scenario descritto al punto precedente si riverbera sui costi del processo a carico della parte ricorrente: pur avendo la novella opportunamente previsto che le spese di eventuali CTU siano anticipate dal resistente «salvo sussistano  specifici motivi» (art. 840-quinquies co.3), essa ha al contempo introdotto un costo «ove necessario» a carico degli aderenti a titolo di «fondo spese» (art. 840-sexies co.1.h), introducendo in tal modo un fattore disincentivante ed un ulteriore problematica operativa per la raccolta delle adesioni, e soprattutto ha introdotto una regolamentazione delle spese del procedimento solo a favore del rappresentante della classe e dei difensori del ricorrente e degli aderenti (art. 840-novies), dimenticando i costi della parte ricorrente; 
  3. in ultimo, è quali superfluo precisarlo, la novella non prevede alcun intervento di sostegno agli uffici giudiziari coinvolti (ora le Sezioni imprese dei Tribunali).  

Le criticità sopra evidenziate, e allo stato apparentemente irrisolte, andranno verificate alla prova dei fatti, una volta che l’azione di classe rimodellata dalla novella troverà concreta applicazione. Ciò che si può evidenziare sin d’ora, però, è che gli oneri organizzativi e gestionali sopra ricordati (che gravano in misura rilevante sul ricorrente, vale a dire su un soggetto no profit di natura associativa) sono in larga parte riconducibile all’adozione del sistema opt-in per la raccolta della classe, il che dovrebbe indurre ad una seria riflessione sull’opportunità di sostituirlo – o quantomeno affiancarlo – con un sistema opt-out, come consentito dalla Direttiva 1828/2020 che dovrà essere a breve attuata. 

  1. Azione di classe e danni da illecito antitrust e da pratica commerciale scorretta: le difficoltà nei casi follow on e un primo successo nel caso “dieselgate”

E’ già stato evidenziato come uno degli aspetti più significativi della novella, conseguente all’allargamento della platea dei danneggiati che possono fa ricorso alla azione collettiva, è quella di consentire anche alle imprese (in particolare a quelle micro/piccole/medie, che ben potrebbero appartenere ad una classe) di agire collettivamente per il risarcimento del danno da illecito antitrust eventualmente commesso, ad esempio, da un’impresa dominante o da un cartello tra macro-imprese. A ciò va aggiunta, come si diceva, la possibilità di una classe di microimprese di invocare la tutela sostanziale prevista dal Codice del Consumo in materia di pratiche commerciali scorrette.

Può essere quindi di qualche interesse segnalare alcuni precedenti nei quali l’azione di classe ex art. 140 bis è stata utilizzata per il risarcimento del danno da illecito antitrust e da pratica commerciale scorretta subito dai (soli) consumatori.

Il caso Altroconsumo/Moby e altri (traghetti per la Sardegna)

  1. Nel 2011 le tariffe dei traghetti tra la Sardegna e il continente gestiti da varie Compagnie di navigazione facevano registrare aumenti simultanei e rilevanti (dal 90 al 110%) rispetto al 2010. L’AGCM avviava  un’istruttoria per presunta violazione del diritto antitrust comunitario (art. 101 TFUE) che si concludeva nel 2013 con provvedimento che accertava un’intesa restrittiva della concorrenza e conseguentemente sanzionava tre Compagnie parti dell’intesa (la quarta coinvolta veniva ritenuta follower).

Già nel novembre 2011, successivamente all’aperture dell’istruttoria da parte dell’AGCM, Altroconsumo avviava un’azione di classe ex art. 140 bisavanti il Tribunale di Genova nei confronti delle Compagnie coinvolte, con richiesta di un risarcimento pari al sovrapprezzo anticompetitivo (del quale veniva richiesta la quantificazione in via equitativa in misura pari al 50% del prezzo pagato) a favore della classe composta dagli acquirenti diretti dei biglietti. Contestualmente venivano raccolte circa 3.600 «pre-adesioni».

Il Tribunale, prima di decidere in ordine alla ammissibilità dell’azione, sospendeva il procedimento (ex art.140 bis co.6), dapprima in attesa del deposito del provvedimento AGCM e successivamente in pendenza di ricorso delle compagnie sanzionate al giudice amministrativo. 

Nel maggio 2014 il TAR Lazio annullava il provvedimento dell’AGCM ritenendo che l’Autorità non avesse dimostrato, nemmeno per presunzioni, che l’aumento dei prezzi praticati siano stati l’effetto di una pratica concordata”. L’appello di AGCM è stato respinto dal Consiglio di Stato, secondo il quale “nella fattispecie, la spiegazione del parallelismo di comportamenti basata sulla concertazione non è l’unica plausibile, con la conseguente inconfigurabilità della fattispecie anticoncorrenziale contestata, neppure sotto il profilo di un approccio ricostruttivo di tipo endogeno”.

Venuta meno l’indispensabile prova dell’illecito costituita dalla decisone AGCM, l’azione di classe avviata da Altroconsumo veniva inevitabilmente abbandonata. 

Il caso Altroconsumo/Banca PSA ed altre (finanziamenti auto) 

  1. Nel dicembre 2018 l’AGCM accertava una intesa segreta restrittiva della concorrenza tra i principali gruppi automobilistici operanti sul mercato italiano e le rispettive società finanziarie, nonché due associazioni di categoria, in violazione dell’art.101 TFUE, durata dal 2003 al 2017 e scoperta a seguito di domanda di clemenza di Daimler AG/Mercedes Benz Financial Services s.p.a.. L’intesa era consistita in uno scambio sistematico di informazioni rilevanti per la definizione delle rispettive politiche commerciali e, in particolare, dell’importo delle commissioni, delle spese di istruttoria, nonché del tasso di interesse applicabile ai finanziamenti (TAN e TAEG).

Nel novembre 2019, successivamente al provvedimento AGCM, Altroconsumo introduceva azione di classe (follow on) ex art. 140 bis CdC e d.lgs. 3/2017 (applicabile rationae temporis per essere la pratica illecita cessata dopo la sua entrata in vigore) avanti il Tribunale di Milanonei confronti di otto società finanziarie, per il risarcimento dei danni (da quantificarsi in via equitativa) in misura pari alle spese, commissioni e interessi pagati da ciascun consumatore (supponendo che in mancanza dell’intesa la pressione concorrenziale avrebbe determinato l’offerta di finanziamenti a «tasso zero») o in subordine pari ad almeno il 20% di tali costi (sovrapprezzo medio secondo la Commissione UE). Venivano contestualmente raccolte circa 31.600 «pre-adesioni».

Nel febbraio 2020, in pendenza di ricorso al TAR delle società finanziarie sanzionate, il Tribunale sospendeva l’azione di classe (ex art. 140 bis co. 6) rilevando “l’esigenza di garantire ai consumatori la possibilità di esprimere la loro adesione su basi di piena consapevolezza”.

Nell’ottobre 2020 il Tar Lazio annullava il provvedimento AGCM per “eccessiva durata della fase pre-istruttoria, a fronte di una domanda di clemenza, risalente al marzo 2014, che conteneva già tutti gli elementi per l’avvio del procedimento, avvenuto nel 2017” nonché per la “ illogicità, lacunosità e incompletezza dell’istruttoria, sia  sul mercato rilevante sia sulla idoneità delle condotte imputate alle parti a produrre effetti distorsivi su quel mercato”.

L’appello dell’AGCM veniva respinto dal Consiglio di Stato, con motivazioni sostanzialmente analoghe.

L’azione di classe di Altroconsumo, non potendo beneficiare della prova definitiva della violazione del diritto della concorrenza (ai sensi dell’art. 7, d.lgs.n.3/2017), veniva conseguentemente abbandonata.

  1. La difficile convivenza del sistema opt-in con le azioni follow on e con la sospensione del processo in attesa della decisione definitiva sull’illecito antitrust  

Nonostante l’infelice esito di entrambe le azioni di classe sopra richiamate, da ricondurre al venir meno della prova indispensabile costituita dal provvedimento dell’Autorità Antitrust, esse offrono alcuni spunti di riflessione.

Il primo riguarda, anche in tal caso, le ricadute derivanti dal sistema opt-in per la raccolta della classe, che nei casi di danno da illecito antitrust rivela un’ulteriore criticità operativa in aggiunta a quelle già sopra evidenziate. 

Le azioni follow on dovrebbero logicamente, per loro natura, essere avviate successivamente al definitivo accertamento dell’illecito da parte dell’Autorità Antitrust. Ma la normale tempistica che ciò richiede risulta incompatibile con il sistema opt-in, che impone di raccogliere tempestivamente la classe, vale a dire di informare e coinvolgere i potenziali aderenti il più possibile nell’immediatezza dei fatti, quando si presume che essi siano maggiormente sensibili e interessati a far valere le proprie ragioni e soprattutto in possesso delle “prove” delle quali sarà necessario garantire la conservazione per dimostrare l’appartenenza alla classe ed eventualmente il danno subito (nel caso traghetti, ad esempio, dei biglietti acquistati e del prezzo pagato), prove che a distanza di anni sarebbero verosimilmente disperse. 

Questi aspetti “operativi” derivanti dal sistema opt-in spiegano l’avvenuto avvio delle azioni sopra richiamate prima che il provvedimento dell’AGCM diventasse definitivo (o addirittura prima che il provvedimento venisse emesso) – diversamente da ciò che tipicamente dovrebbe avvenire in caso di azioni follow on- così come la raccolta delle c.d. “pre-adesioni” (vale a dire dei dati dei soggetti coinvolti nella vicenda e quindi potenziali futuri aderenti). In mancanza di tali iniziative, la tempistica necessaria per pervenire ad un provvedimento definitivo sul quale basare l’azione follow on, di fatto vanificherebbe la futura raccolta delle adesioni e quindi della classe stessa. Anche se, evidentemente, l’avvio di un’azione di classe anteriormente alla emissione del provvedimento AGCM o in ogni caso alla sua definitività, espone al rischio (verificatosi nei due casi richiamati), che l’annullamento del provvedimento da parte del giudice amministrativo travolga l’azione risarcitoria. 

Un secondo spunto di riflessione derivante dai casi citati riguarda il rapporto di pregiudizialità tra l’accertamento definitivo dell’illecito concorrenziale e l’azione risarcitoria in sede civile, che l’art.140 bis comma 6 disciplina in termini di facoltà del giudice di disporre la sospensione dell’azione (che la Direttiva 2014/104/UE e il d.lgs. 3/2017 in materia di danni antitrust impongono in termini ancora più rigidi).

Non è in discussione l’opportunità ed utilità che il merito dell’azione risarcitoria sia deciso successivamente all’accertamento dell’illecito concorrenziale da parte dell’Autorità Antitrust, stanti gli specifici e più penetranti poteri istruttori e di indagine che essa può utilizzare rispetto a quelli a disposizione dei danneggiati (ancor più se consumatori). 

Merita però qualche considerazione critica il fatto che al definitivo accertamento dell’illecito in sede Antitrust e giurisdizionale è subordinata – come previsto sia dall’art.140 bis comma 6 che dal nuovo art. 840-ter co.3 – non solo la decisione nel merito dell’azione collettiva, ma anche la sua ammissibilità e quindi la conseguente (prima) raccolta delle adesioni, che avverrà così con una tempistica talmente dilatata rispetto al momento dell’illecito (e del danno) da renderle di fatto estremamente problematiche se non impossibili (e ciò vale a maggior ragione per la raccolta delle adesioni nel corso della terza fase, posto cha la sentenza di accertamento dovrà attendere che il provvedimento AGCM diventi definitiva). E ciò non tanto per la possibile prescrizione dei diritti degli aderenti, quanto per l’inevitabile dispersione delle prove da parte dei danneggiati, necessarie per l’adesione all’azione.  

La sostanziale pregiudizialità tra accertamento dell’illecito in sede antitrust e la decisione nel merito dell’azione risarcitoria costituisce quindi un ulteriore argomento a favore dell’adozione del meccanismo opt-out per la raccolta della classe. 

Volendo rimanere ancorati al meccanismo dell’opt-in, vi è comunque da chiedersi se, per ridurre le criticità evidenziate, non sarebbe logico prevedere che la decisione sull’ammissibilità dell’azione di classe (peraltro subordinata ad una mera valutazione di “non manifesta infondatezza”) non sia subordinata all’avvenuto accertamento dell’illecito in sede amministrativa o almeno alla sua definitiva conferma in sede giurisdizionale. Il che consentirebbe quantomeno che la raccolta della “classe” avvenga in tempi ragionevoli e praticabili, seppure con il rischio di averla raccolta inutilmente (rischio peraltro insito nel meccanismo dell’ early opt-in in quanto tale). 

             iv. Il caso Altroconsumo- Volkswagen (c.d. dieselgate) 

Nel Settembre 2015, a seguito di un’indagine dell’Environmental Protection Agency (EPA)negli USA, emergeva che VW avesse illegittimamente installato nelle auto diesel un software che consentiva di ridurre le emissioni di ossido di azoto (NOx) in fase di prove di omologazione (sui c.d. “rulli”), al fine di farle risultare in linea con i limiti  previsti dalla normativa, che venivano invece superati in condizione di normale circolazione.

Lo scandalo si diffondeva immediatamente in Europa, dove la KBA (Autorità tedesca dei trasposti) dopo poche settimane ordinava a VW la rimozione del software (c.d. defeat device) dalle auto in circolazione, avviando una specifica campagna di richiamo a tal fine.  

In Italia risultavano coinvolti oltre 600.000 veicoli (compresi veicoli Seat, Audi e Skoda dotati della stessa motorizzazione diesel EA 189 prodotta dal Gruppo VW).

Nell’Agosto 2016, l’AGCM accertava la messa in atto da parte di VW di plurime pratiche commerciali scorrette in violazione degli art 20, 21 e 23 del Codice del Consumo, in particolare la grave violazione dell’obbligo di diligenza professionale e la scorrettezza dei green claims utilizzati per la commercializzazione dei veicoli (BlueMotion: la VW più ecologica di tutti i tempi), applicando la sanzione massima prevista dal Codice del Consumo (€ 5 milioni). Il ricorso di VW avverso il provvedimento dell’Autorità Antitrust veniva respinto dal TAR Lazio nel 2019 e dal Consiglio di Stato, nel merito, nel 2022.

Con l’azione di classe ex art. 140 bis avviata da due acquirenti e da Altroconsumo avanti al Tribunale di Venezia nel 2016, veniva chiesto l’accertamento delle responsabilità extracontrattuale di VW per pratica commerciale scorretta e ingannevole (ex art.20 e segg. Cod. Consumo) e il risarcimento del danno da quantificarsi in via equitativa nel 15% del valore di acquisto dell’auto. 

Nel 2017 il Tribunale di Venezia dichiarava ammissibile l’azione, definiva i confini della classe, fissava i termini per il deposito delle adesioni, sia direttamente in cancelleria che per il tramite di Altroconsumo, e stabiliva le modalità di pubblicazione dell’avviso ai potenziali aderenti.

Dopo una laboriosa attività di “elencazione” dei numerosi atti di adesione pervenuti al Tribunale di Venezia (circa 75 mila) ed un complesso contraddittorio tra le parti sulla loro validità e/o ammissibilità (in relazione a vari profili, sia formali, relativi ad esempio alla completezza della documentazione depositata e  all’individuazione dell’aderente, che sostanziali, relativi in generale al possesso dei requisiti di appartenenza alla classe), il Tribunale di Venezia ha emesso la sentenza di primo grado nel Luglio 2021 con la quale i) ha accolto la domanda, ii) ha condannato le convenute (VW AG e VW Italia) al risarcimento del danno patrimoniale a favore di ciascuno dei consumatori proponenti e aderenti quantificato in Euro 3.000 (pari al 15% del prezzo medio dei veicoli coinvolti, calcolato in Euro 20 mila, oltre ad Euro 300 a titolo di danno non patrimoniale), importi da dimezzarsi in caso di acquisto di veicolo usato o di avvenuta rivendita, iii) ha dichiarato ammissibili 63.037 adesioni, non ammissibili 8.100. L’esecutorietà della sentenza è stata differita ex lege al 180° giorno dalla pubblicazione della sentenza (ex art. 140 bis co.12) e poi sospesa dalla Corte d’Appello (ex art. 140 co.13) a seguito dell’appello introdotto da VW, attualmente pendente.

Salve le doverose riserve derivanti dalla pendenza dell’appello, vanno segnalate le argomentazioni con le quali il Tribunale di Venezia – respinte le eccezioni preliminari di VW attinenti alla giurisdizione e alla carenza di legittimazione passiva delle convenute, e accertata nel merito la violazione della normativa di settore (reg. UE in materia di emissioni) e la illiceità della pratica commerciale – ha dichiarato il diritto dei consumatori al risarcimento del danno da pratica commerciale scorretta, per violazione del diritto fondamentale alla autodeterminazione, cioè a compiere liberamente e consapevolmente scelte non falsate al momento dell’acquisto, nonché individuato il nesso di causalità, il danno ingiusto risarcibile e la sua quantificazione.

Nel complesso, l’azione di classe in esame (la prima e sinora unica degna di questo nome avviata in Italia e forse in Europa) pare emblematica da un lato delle criticità di un’azione di questo tipo – in relazione ai già ricordati e rilevanti oneri organizzativi e gestionali della classe a carico sia dell’attore che degli uffici giudiziari, nonostante sia stata raccolta a una frazione della classe effettiva, aspetti entrambi da ricollegare all’adesione – dall’altro delle sue potenzialità, per l’elevato numero di consumatori ai quali (al momento in primo grado) è stato riconosciuto un congruo risarcimento a seguito di un illecito tipicamente seriale. Vale a dire un risultato che non sarebbe stato neppure lontanamente immaginabile in mancanza di un’azione risarcitoria collettiva.

  1. Il collective redress nel diritto comunitario: la strada è aperta, ma andrà allargata

Dopo molti anni di incertezze e di segnali contraddittori, anche l’Unione europea è finalmente approdata ad una direttiva in tema di collective consumer redress.

L’approvazione della Direttiva (UE) 2020/1828 del 4.12.2020 sulle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori, che dovrà essere attuata negli Stati membri entro il 25 dicembre 2022, segna un importante punto di arrivo e al contempo di svolta nella politica UE in tema di consumer policy

Un punto di arrivo perché l’approvazione della direttiva fa seguito ad un dibattito pluridecennale sulla opportunità e/o necessità di introdurre uno strumento di tutela collettiva degli interessi dei consumatori anche a fini risarcitori, in aggiunta ai rimedi inibitori già previsti dalla Direttiva 2009/22/UE (che viene ora abrogata e sostituita dalla nuova direttiva). 

Un punto di svolta perché la direttiva, pur lasciando agli Stati membri ampi margini di scelta su numerosi e importanti aspetti dell’azione, supera le reticenze e le resistenze, da parte di alcuni Stati Membri (in particolare la Germania) e in generale del mondo delle imprese, che si erano manifestate in passato nei confronti di un qualsivoglia modello di azione collettiva risarcitoria, pregiudizialmente identificata con il modello della class action nordamericana, della quale venivano evocati più gli eccessi e i rischi che le opportunità. 

Ripercorrendo brevemente le tappe principali che hanno segnato il tortuoso cammino della direttiva, si può ricordare che già nel Libro Verde del 2005 sulle Azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust comunitarieera stato auspicato l’inserimento di strumenti di collective redress (quale strumento di private enforcement). Hanno fatto seguito, nel 2008, il Libro Bianco in materia di azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust comunitarie e il Libro Verse relativo ai rimedi collettivi dei consumatori e, nel 2011, una consultazione pubblica lanciata dalla Commissione Europea “per un approccio più coerente al collective redress”, sfociata in una Risoluzione del Parlamento Europeo.

Il primo, per molti versi deludente, approdo di questo processo è avvenuto nel 2013 con la Raccomandazione della Commissione 2013/396/UE sui principi comuni in materia di procedimenti collettivi e sui danni da illecito antitrust. La Raccomandazione, oltre che costituire uno strumento giuridico non vincolante, ha adottato un approccio prudente, prevedendo la legittimazione attiva solo di enti no profit (escludendo quindi le azioni individuali), l’adesione esplicita all’azione da parte dei danneggiati (opt-in), il divieto di danni puntivi, la necessità di adeguati mezzi di finanziamento (ma mostrando reticenza verso success fee e third party funding, ritenuti meccanismi “estranei” alla tradizione europea), limitazioni che in generale venivano giustificate dall’obiettivo dichiarato di prevenire un uso “abusivo” dei nuovi rimedi (del quale l’esperienza nordamericana veniva ritenuta un tipico esempio). 

La Raccomandazione, benché espressione della volontà politica di incentivare un modello europeo efficiente ma diverso (anche nel nome!) dalla class action nord-americana, ha registrato peraltro uno scarso successo negli Stati Membri, nella maggior parte dei quali sono state nel frattempo introdotte leggi nazionali basate su meccanismi diversi e spesso meno restrittivi (sulla legittimazione attiva, sul sistema di raccolta della classe, sull’ambito di applicazione, etc.). Al contempo, ben otto Stati Membri, ancora nel 2018, non avevano introdotto alcuna regolamentazione, non dando alcun seguito alla Raccomandazione. 

Un apparente arresto del processo politico in tema di azione collettiva risarcitoria era avvenuto nel 2014, con l’approvazione della Direttiva Danni che, abbandonando l’approccio unitario che aveva caratterizzato i precedenti atti comunitari, ha attuato una “scissione” tra danni antitrust e collective redress, il quale, contrariamente alle aspettative, non ha trovato spazio nella direttiva. La separazione tra diritto della concorrenza e consumer law, che per lungo tempo hanno trovato un punto di incontro e di possibile disciplina comune sul tema dei rimedi collettivi risarcitori (a favore dei danneggiati, ivi compresi i consumatori), permane nella Direttiva 1828/2020, che esclude gli illeciti antitrust dal suo ambito di applicazione.

La successiva ripresa e accelerazione del processo a livello comunitario è avvenuta a partire dal 2017, con la risoluzione del Parlamento Europeo che – sospinto dello scandalo “dieselgate” e dal fatto che i consumatori ingannati erano stati prontamente e generosamente risarciti negli USA ma non in Europa- ha invitato la Commissione a presentare una proposta legislativa per un sistema di ricorso collettivo, cui ha fatto seguito nel 2018 il noto New Deal for Consumers, contenente un pacchetto di misure volto a rafforzare l’enforcement del diritto dei consumatori, tra le quali la direttiva sulle azioni rappresentative (Representative Action Directive – RAD).   

Benché la Direttiva 1828/2020 rimanga piuttosto vaga su aspetti chiave, lasci considerevoli margini di flessibilità agli Stati membri sul modello di azione rappresentativa e appaia influenzata dall’esigenza, molto enfatizzata ma sostanzialmente indimostrata, di evitare un suo “uso abusivo”, non vi è dubbio che costituisca un risultato storico e lungamente atteso, che auspicabilmente segna un punto di arrivo non definitivo e aperto a futuri miglioramenti.

  1. Un breve raffronto tra la direttiva 1828/2020 e gli art.840-bis e segg. cpc: c’è molto da fare in sede di attuazione  

La direttiva prevede una armonizzazione limitata ad alcuni aspetti dell’azione, rinunciando a prendere posizione su altri, sui quali vengono lasciati ampi margini di scelta agli Stati Membri.

Passando in rassegna gli aspetti più significativi della direttiva e raffrontandoli con le disposizioni degli art. 840-bis e segg., emerge che la normativa italiana è solo in minima parte coerente con la direttiva, mentre assai più numerose sono i punti che andranno modificati e/o integrati  in sede di attuazione.

Occorre premettere che la direttiva prevede che gli Stati membri debbano introdurre negli ordinamenti nazionali almeno un sistema di collective redress conforme alla normativa comunitaria, ma non impedisce che ne esistano o ne vengano introdotti altri, né che il sistema nazionale preveda ambiti o meccanismi di tutela più ampi di quelli prevista dalla direttiva, che sotto tale profilo può quindi essere sostanzialmente considerata come uno strumento di armonizzazione minimale, che funge da “complemento” a quanto già previsto dalle legislazioni nazionali.

Ambito di applicazione

  1. La direttiva prevede che essa si applichi alle azioni rappresentative avviate in caso di violazioni, nazionali e transfrontaliere, delle direttive e regolamenti contenuti nell’Allegato 1 alla direttiva, nonché alle relative disposizioni di recepimento nel diritto nazionale (art. 2.1): si tratta di un elenco di 66 direttive e regolamenti che travalica i confini della consumer law intesa in senso stretto, per ricomprendere normative relative a materie che toccano latu sensu gli interessi collettivi dei consumatori, quali quelle in materia di servizi finanziari, di telecomunicazioni, di protezione dei dati personali (GDPR), rimanendo peraltro escluso il diritto della concorrenza (ricompreso invece nell’ambito di applicazione della legge italiana).

La direttiva segue quindi un approccio verticale, armonizzando gli strumenti di collective redress nella UE e la loro applicazione transfrontaliera nelle sole materie previste dalla direttiva, le quali confermano la natura prettamente consumerista dell’azione. Vale a dire di un’azione predisposta per la tutela degli interessi collettivi dei (soli) consumatori in una serie di materie certamente ampia ma incompleta, in quanto amputata del diritto della concorrenza. 

Molte leggi nazionali, per contro, hanno adottato un approccio orizzontale, prevedendo strumenti di tutela collettiva senza distinzione di materia: oltre che in Italia (con la L.31/2019) ciò è avvenuto in  Danimarca, Svezia, Paesi Bassi, Bulgaria, Lituania, Malta). Altri Paesi, pur adottando un approccio verticale, hanno esteso l’ambito di applicazione a materie più ampie di quella prevista dalla direttiva, ed in particolare agli illeciti antitrust (Francia, Polonia, Slovenia, Belgio, Spagna, Ungheria).

Come detto, un ambito di applicazione della legge nazionale a materie diverse e più estese di quelle previste dalla Direttiva deve ritenersi consentito, onde le relative disposizioni interne non richiedono modifiche sul punto. 

Tale disallineamento è però destinato ad avere potenziali impatti negativi sul mercato interno derivanti dalla mancata armonizzazione delle azioni rappresentative (sia inibitorie che risarcitorie) in importanti settori del mercato e del diritto, in particolare in materia antitrust, nei quali l’azione collettiva è prevista dal diritto nazionale di vari Stati membri (tra i quali l’Italia) ma non dal diritto comunitario. La possibilità di avviare azioni collettive risarcitorie in materie diverse nei Paesi europei determina non solo un diverso livello di tutela dei consumatori, ma anche maggiori rischi e responsabilità per le imprese che operano nei Paesi dove l’ambito di applicazione è più esteso. 

Sotto questo profilo, è prevedibile (oltre che auspicabile) che la Direttiva venga rivista nel prossimo futuro, introducendo una armonizzazione più ampia e di più elevato livello rispetto al testo attuale. 

ii. Legittimazione attiva

La direttiva stabilisce che l’azione rappresentativa possa essere avviata dagli enti legittimati designati dagli Stati membri (c.d. qualified entities), in particolare le organizzazioni di consumatori, al fine di intentare azioni rappresentative nazionali, transfrontaliere o entrambe (art.4.1 e 4.2).

Per l’introduzione di azioni transfrontaliere, l’ente legittimato deve soddisfare una serie di criteri stabiliti dalla direttiva (art.4.3), che lo Stato membro ha facoltà di applicare anche alla designazione degli enti legittimati ad avviare le azioni rappresentative nazionali (art.4.5).

La direttiva non prevede invece la legittimazione attiva dei membri della classe, ammessa dalla legge italiana, la quale, anche sotto questo aspetto, in forza degli obiettivi di armonizzazione minimale e “complementare” della direttiva, deve ritenersi una estensione consentita.    

Per contro, appaiono in contrasto con la direttiva i requisiti degli enti legittimati all’azione di classe richiesti dal già citato Decreto del Ministero della Giustizia 17 febbraio 2022, chesono in larga parte avulsi dai requisiti previsti dall’art.4.3 della direttiva. Lo stesso dicasi per quelli previsti per l’iscrizione delle associazioni di consumatori all’elenco del MISE, che pure risultano esorbitanti ed incoerenti rispetto a quelli previsti dalla Direttiva, essendo essi finalizzati, come si è già detto, a verificare la rappresentanza dell’associazione a livello istituzionale e non processuale.

Requisiti esorbitanti rispetto ai criteri della direttiva contrasterebbero anche con l’art.4.4 della direttiva, che stabilisce l’obbligo degli Stati membri di assicurare che i criteri da essi utilizzati per designare gli enti legittimati all’azione “siano coerenti con gli obiettivi della presente direttiva di rendere efficace ed efficiente il funzionamento”, obiettivo che nel nostro Paese allo stato non può dirsi assicurato.

Va ricordato che l’armonizzazione dei requisiti per la designazione degli enti legittimati è il presupposto per l’introduzione delle azioni rappresentative transfrontaliere (art.6), basate sul mutuo riconoscimento della legittimazione attiva degli enti collettivi. In forza di questo principio – che riconosce la c.d. “libera circolazione” delle azioni rappresentative – ove la violazione leda i consumatori in diversi Stati membri, l’azione rappresentativa avanti il giudice di uno Stato membro può essere introdotta da enti legittimati in altri Stati membri (art.6.2). Ne consegue che, ove gli enti di uno Stato membro (in primis le associazioni di consumatori) siano ostacolati – o addirittura impossibilitati – ad agire per effetto di requisiti di designazione ultronei e non conformi alla direttiva, ne subirebbero un pregiudizio sia questi enti, che verrebbero discriminati rispetto a quelli di altri Paesi, sia i consumatori del loro Paese, che non potrebbero loro tramite aderire ad una azione rappresentativa transfrontaliera.  

Gli attuali requisiti previsti dalla normativa nazionale per la designazione degli enti legittimati ad avviare un’azione di classe dovranno quindi essere necessariamente rivisti in sede di attuazione della direttiva.

                 iii. Legittimazione passiva

La direttiva definisce il professionista, soggetto passivo dell’azione rappresentativa, come qualsiasi persona fisica o giuridica, sotto il controllo pubblico o privato, che agisce, anche tramite un’altra persona che opera in suo nome e per suo conto, a fini relativi alla propria attività commerciale, imprenditoriale, artigianale o professionale (art. 3.2).

La legge italiana prevede che l’azione di classe possa essere esperita nei confronti di  imprese ovvero nei confronti  di  enti  gestori  di  servizi  pubblici  o di pubblica utilità, relativamente ad atti  e  comportamenti  posti  in essere nello svolgimento delle loro rispettive attività (art. 840-bis co.3).

Le due definizioni non paiono del tutto coerenti e, in particolare, quella italiana sembra consentire una definizione più restrittiva, onde andrebbe adeguatamente modificata.

iv. Inammissibilità dell’azione

La direttiva si limita a stabilire che gli organi giurisdizionali (o amministrativi) “valutano l’ammissibilità di una specifica azione rappresentativa in conformità della presente direttiva e del diritto nazionale” (art. 7.3).

 In realtà in tema di ammissibilità la direttiva sostanzialmente rinvia alla regolamentazione degli Stati membri, in quanto non prevede disposizioni specifiche su questo tema, se non, marginalmente, laddove prevede che gli Stati membri devono garantire che gli organi giurisdizionali (o amministrativi) “siano in grado di decidere di respingere i casi manifestamente infondati il prima possibile nel corso del procedimento” (art. 7.7), disposizione del tutto assimilabile a quella di diritto nazionale che prevede, tra le condizioni di inammissibilità dell’azione di classe, la “manifesta infondatezza” della domanda (art.840-ter co.4, lett.a).

La direttiva disciplina anche il tema del “conflitto di interessi”, ma limitatamente al caso di azioni finanziate da un terzo (art.10, su cui infra), riferendosi quindi ad una situazione più specifica e circoscritta che non sembra interferire con la norma nazionale, di più ampia portata, che prevede l’inammissibilità dell’azione “quando il ricorrente versa in uno stato di conflitto di interessi nei confronti del resistente” (art. 840-ter co. 4 lett.c).

Anche gli altri due casi nei quali l’azione di classe italiana può essere dichiarata inammissibile, vale a dire la mancanza di omogeneità dei diritti individuali e l’incapacità del ricorrente di curare adeguatamente gli interessi della classe (art. 840-ter, co.4 lett. b e d), non trovano alcuna specifica previsione nella direttiva e devono pertanto ritenersi consentiti in forza del rinvio alle leggi nazionali in tema di ammissibilità dell’azione previsto dalla direttiva (art.7.3).  

v. L’adesione all’azione (opt-in, late opt-in e opt-out)

Quanto al meccanismo di raccolta della classe, la direttiva supera il tradizionale ed esclusivo modello opt-in per lungo tempo caldeggiato (e ancora previsto dalla Raccomandazione delle Commissione del 2013), lasciando agli stati Membri la facoltà di affiancarlo o sostituirlo con il modello opt-oute di decidere in quale fase dell’azione la volontà esplicita o tacita di aderire debba essere manifestata(art. 9.2), salva l’obbligatorietà di applicazione del sistema opt-in qualora il consumatore non risieda abitualmente nello Stato dell’organo giurisdizionale (o dell’autorità amministrativa) avanti il quale è introdotta l’azione rappresentativa e questa porti ad un esito per lui vincolante (art. 9.3).

Deve quindi ritenersi consentito dalla direttiva il sistema, per certi versi “intermedio”, del “late opt-in” introdotto dal legislatore italiano nella “terza fase” dell’azione, che non costituisce del resto un modello inedito, essendo già stato adottato in Francia, ove peraltro ad oggi non risulta abbia avuto concreta applicazione.

La stessa direttiva, infatti, prevede che debba essere riconosciuto ai consumatori il diritto di beneficiare di un provvedimento risarcitorio senza che sia necessario intentare un’azione distinta (art.9.6) e indipendentemente dal fatto che essi abbiano partecipato o meno all’azione (Considerando 47), purché entro i limiti di tempo previsti dalla legge nazionale (art.9.7). Dal che si desume che secondo la direttiva ai consumatori deve essere data la possibilità di scegliere se aderire o meno all’azione anche dopo che sia stata stabilita la responsabilità del convenuto e il suo obbligo al risarcimento.

Attualmente un sistema di solo opt-out è previsto in Portogallo, mentre un sistema misto opt-in/opt-out è previsto in diversi Stati membri (Belgio, Bulgaria, Danimarca, Paesi Bassi, Slovenia e Svezia), dove viene deciso discrezionalmente dal giudice o stabilito dalla legge, a seconda dei casi, sulla base della natura e/o entità del danno, dalla natura del proponente, dalle dimensioni della classe, della materia, secondo un modello misto che pare ragionevole e maggiormente efficiente e che sarebbe quindi auspicabile che, in occasione dell’attuazione della direttiva, venisse introdotto anche nell’ordinamento del nostro Paese. 

L’opt-out costituisce infatti il metodo più appropriato ed efficace nei casi di danni diffusi e di modesta entità (small claims), nei quali il sistema opt-in si scontra il fenomeno della c.d. apatia razionale, che determina il cronico underenforcement che si verifica in caso di danni di modesta entità (ma il cui valore aggregato può essere rilevante).  

Va ricordato che la giurisprudenza europea, inclusa quella italiana, ha da tempo affermato che l’adesione secondo il modello opt-out è compatibile con il diritto ad un equo processo (art. 6 CEDU) quando il procedimento è giustificato da una finalità legittima, le limitazioni ai diritti individuali sono ragionevoli e proporzionate a detta finalità e se sforzi sufficienti sono stati compiuti al fine di informare adeguatamente i soggetti interessati circa l’azione ed il loro diritto di esserne esclusi.

vi. La rappresentanza degli enti legittimati

La direttiva prevede che, nell’ambito dell’azione rappresentativa, gli interessi dei consumatori “siano rappresentati da enti legittimati” e che tali enti “abbiano i diritti e gli obblighi di una parte ricorrente nel procedimento” (art. 7.6).

Si tratta di due principi apparentemente ovvi, ma che non sembrano essere rispettati dal modello di azione di classe ex art.840-bis e segg. che, come abbiamo visto, nella “terza fase” prevede da un lato che gli aderenti siano tutelati e rappresentati, anziché dall’ente legittimato, da un “rappresentante comune” nominato dal giudice (ed al quale sono attribuite funzioni e ruoli in potenziale conflitto di interessi con i soggetti rappresentati) e, dall’altro, espelle l’ente legittimato dal processo, impedendogli di esercitare i suoi diritti di parte ricorrente e la sua funzione di rappresentante degli interessi dei consumatori, come previsto dalla direttiva.

Si deve quindi concludere che il modello italiano, su tale fondamentale aspetto dell’azione, debba essere profondamente rivisto e corretto.

vii. Oggetto dell’azione (i rimedi)

La direttiva prevede che un provvedimento risarcitorio deve imporre al professionista di offrire ai consumatori interessati rimedi quali un indennizzo, la riparazione, la sostituzione, una riduzione del prezzo, la risoluzione del contratto o il rimborso del prezzo pagato, a seconda di quanto previsto dal diritto dell’Unione o nazionale applicabile (art.9.1).

La legge italiana, quanto all’oggetto dell’azione, si limita a prevedere che i soggetti legittimati (organizzazione o associazione e ciascun componente della classe) possano agire  nei  confronti dell’autore  della   condotta   lesiva   per   l’accertamento   della responsabilità e per la condanna al risarcimento del  danno  e  alle restituzioni (art. 840-bis co.2).

Pare evidente che la normativa italiana preveda rimedi più limitati e debba essere quindi modificata in coerenza con la direttiva. 

viii. Informazione alla classe

La disciplina della direttiva in tema di informazioni ai consumatori sulle azioni rappresentative è estesa ed articolata, prevedendo obblighi sia a carico degli enti legittimati che dei professionisti (art.13).

Quanto ai primi, essi devono fornire informazioni in merito alle azioni che hanno deciso di avviare, al loro stato di avanzamento e ai risultati conseguiti (art. 13.1).

Quanto ai secondi, essi devono fornire, su ordine del giudice e a loro spese, informazioni sulle decisioni definitive che dispongono provvedimenti sia risarcitori che inibitori, nonché sulle eventuali transazioni, “attraverso mezzi appropriati alle circostanze del caso (…), compresa una informazione individuale a tutti i consumatori interessati” (art.13.3).

Ma soprattutto, la direttiva prevede che le leggi nazionali devono garantire che i consumatori interessati ad una azione rappresentativa risarcitoria “dispongano di informazioni relative all’azione tempestivamente e con mezzi appropriati, al fine di consentire a tali consumatori di esprimere esplicitamente o tacitamente la propria volontà di essere rappresentati” (art. 13.2).

Questa disposizione, che attiene al tema dell’informazione della classe e dei relativi oneri organizzativi ed economici, cruciale soprattutto in un sistema opt-in, appare invero piuttosto generica, lasciando ampio margine agli Stati membri sia sulla individuazione del soggetto onerato di tale attività, sia sulla ripartizione dei relativi costi (salva la previsione del loro recupero a favore della parte vincitrice, art. 13.5).

Ciò nonostante, pare evidente che essa imponga una modifica ed integrazione della normativa nazionale, che sul punto appare estremamente stringata e reticente, limitandosi in sostanza a prevedere che tutta l’informazione al pubblico sull’azione si risolva, sia nella fase iniziale dell’azione (early opt-in) che in quella successiva (late opt-in), nella pubblicazioni degli atti “nell’area pubblica del portale dei servizi telematici gestito dal Ministero della Giustizia” (art. 840-ter co.2).

Pare chiaro che tale forma di “informazione” abbia natura e scopi prettamente processuali: in particolare, è dalla pubblicazione dell’ordinanza di ammissibilità e della sentenza di accertamento che decorrono i termini per il deposito delle domande di adesione (cfr. art. 840-quinques co.1 e 840-sexies co.1 lett.e).

Essa quindi non ha nulla a che vedere con l’informazione prevista dalla direttiva (art.13.2), che è invece propriamente finalizzata a porre gli interessati nelle condizioni di aderire all’azione (o di escludersi, nel caso di opt-out), aspetto al quale la normativa italiana non dedica alcuna attenzione né specifica misura, pur essendo di fondamentale importanza pratica ed operativa per una effettiva ed efficiente raccolta della classe.

Le disposizioni della normativa nazionale andranno pertanto profondamente integrate su tale aspetto, facendo buon uso dei larghi margini di scelta che la direttiva lascia agli stati membri.

ix. La prescrizione dei diritti

La direttiva prevede che l’azione rappresentativa risarcitoria produca l’effetto di sospendere o interrompere i termini di prescrizione applicabili nei confronti dei consumatori interessati da tale azione (art. 16.2) e che analogo effetto derivi dall’azione inibitoria, in modo tale che i consumatori non siano impossibilitati a intentare successivamente un’azione volta a ottenere provvedimenti risarcitori a causa del decorso dei termini di prescrizione durante l’azione inibitoria (art.16.1).

Come si ricorderà, l’art.140 bis co.3 dispone che gli effetti sulla prescrizione previsti dagli art. 2943 e 2945 c.c. si producono, per gli aderenti, dal deposito dell’atto di adesione. Analoga disciplina si deve ritenere vigente sotto la novella del 2019, laddove si limita a prevedere che l’adesione produce i medesimi effetti della domanda giudiziale (art.840-septies co.6).

Il fatto che l’azione di classe non produca alcun effetto sospensivo o interruttivo della prescrizione  dei diritti individuali degli aderenti comporta il rilevante rischio di loro estinzione, vanificando gli effetti dell’adesione successiva alla scadenza della prescrizione, come già verificatosi nel vigore della attuale normativa e come potrebbe non infrequentemente accadere nei casi di diritti soggetti alla prescrizione breve quinquennale ex art. 2948 c.c., applicabile in materia di responsabilità extracontrattuale e pertanto in una molteplicità di materie potenzialmente soggette ad azioni rappresentative (come nel caso di danni da pratica commerciale scorretta). Nell’attuale regime, i danneggiati sarebbero costretti ad interrompere la prescrizione attraverso l’invio di atti individuali, soluzione evidentemente del tutto impraticabile e improbabile.

L’attuazione della direttiva imporrà quindi una indispensabile integrazione della legge italiana, colmando in tal modo una sua grave lacuna.

x. Azione inibitoria e risarcitoria congiunte 

La direttiva lascia agli Stati membri la possibilità di consentire che con un’unica azione rappresentativa l’ente legittimato possa chiedere provvedimenti sia inibitori che risarcitori (art.7.5), evidenziando al Considerando 35 che una tale libertà dovrebbe essere lasciata agli enti legittimati.

Pur trattandosi di una soluzione del tutto logica, anche per motivi di economia e concentrazione processuale, va ricordato che attualmente essa è espressamente esclusa dalla normativa nazionale che, con una norma fortemente criticata, prevede che “quando l’azione inibitoria collettiva è proposta congiuntamente all’azione di classe, il giudice dispone la separazione delle causa” (art.840-sexiesdecies co.9).

Benché la direttiva lasci libertà di decisione al legislatore nazionale, e non si possa quindi affermare che la norma nazionale sia incompatibile con quella comunitaria, una sua modifica nel senso di prevedere che azione inibitoria e risarcitoria possano essere trattate congiuntamente sarebbe certamente opportuna, oltre che per motivi di evidente economia ed efficienza processuale, anche al fine di superare la potenziale “sovrapposizione” tra i rimedi risarcitori tipici dell’azione di classe  e quelli “ripristinatori” che sono stati talora ottenuti attraverso l’azione inibitoria.

xi. Valore di prova cross-border delle decisioni definitive 

Secondo la direttiva, una decisione definitiva di un organo giurisdizionale o di un’autorità amministrativa di qualsiasi Stato membro relativa all’esistenza di una violazione a danno degli interessi collettivi dei consumatori può essere usata da tutte le parti come prova nell’ambito di eventuali altre azioni dinanzi ai loro organi giurisdizionali o autorità amministrative nazionali al fine di invocare provvedimenti risarcitori nei confronti dello stesso professionista per la stessa pratica (art. 15).

Per inciso, appare poco giustificato il disallineamento sul punto tra la direttiva in esame e la precedente direttiva 2014/104/UE in materia di danni antitrust, che ha invece previsto, in modo più incisivo, che se la sussistenza della violazione è già stata accertata dall’autorità garante della concorrenza con decisione definitiva, questa è vincolante per il tribunale (art.9.1).

In ogni caso, la normativa italiana non prevede alcunché al riguardo, se non la previsione, di portata ben più limitata, secondo la quale il Tribunale può sospendere l’azione di classe quando sui fatti rilevanti ai fini del decidere è in corso un’istruttoria davanti a un’autorità indipendente ovvero un giudizio davanti al giudice amministrativo (art. 840-ter co.3). Onde essa dovrà essere integrata sul punto.

xii. Transazioni sui risarcimenti

La direttiva prevede che, nell’ambito di una azione rappresentativa risarcitoria, l’ente legittimato e l’impresa possano proporre congiuntamente al giudice una transazione sul risarcimento ai consumatori interessati, ovvero che il giudice possa invitare la parti a raggiungere una analoga transazione entro un termine ragionevole (art. 11.1).

La transazione è in ogni caso soggetta al controllo del giudice, che può rifiutare di approvarla se sia contraria a disposizioni imperative del diritto nazionale o preveda condizioni che non possono essere eseguite tenendo conto dei diritti e degli interessi di tutte le parti e, in particolare, di quelli dei consumatori interessati. Gli Stati membri possono estendere la facoltà del giudice di rifiutare l’approvazione della transazione qualora essa sia “iniqua” (art.11.2).

Le transazioni approvate sono vincolanti per l’ente legittimato, il professionista e i consumatori interessati. Ma gli Stati membri possono prevedere che i singoli consumatori interessati abbiano facoltà di accettare o rifiutare la transazione (art. 11.4). 

Nel sistema previsto dall’Art. 840-quaterdecies la disciplina delle transazioni è, sotto vari profili, diversa e più complessa.

In primo luogo, vi è una distinzione (non prevista dalla direttiva) tra transazioni avvenute prima e dopo la sentenza di accertamento.

Nel primo caso la disciplina è stringata, limitandosi a prevedere che la proposta transattiva formulata dal giudice e l’accordo concluso tra le parti siano pubblicati nel portale del Ministero e inviati agli aderenti “preventivi” (cioè quelli, verosimilmente pochi, che hanno esercitato l’early opt-in),  i quali possono dichiarare di voler “accedere” all’accordo nel termine indicato dal giudice. In caso contrario, qualora uno o più aderenti non accettino l’accordo, si presume che scatti il procedimento di eventuale “sostituzione del ricorrente” finalizzato alla prosecuzione del procedimento, previsto dall’art. 840-bis co.6, in mancanza di che il processo si estingue. In tale fase quindi la transazione raggiunta tra le parti non è sottoposta ad alcun tipo di controllo o approvazione da parte del giudice.

La disciplina delle transazioni successive alla sentenza di accertamento e quindi alla avvenuta raccolta delle ulteriori adesioni (late opt-in), è più complessa: il rappresentante comune può concordare con l’impresa uno schema di transazione, che viene pubblicato e comunicato a ciascun aderente, dal quale si considera (tacitamente) accettato salve motivate contestazioni scritte (art. 840-quaterdecies co.2, 3 e 4). Il giudice autorizza il rappresentante comune a sottoscrivere l’accordo “avuto riguardo agli interessi degli aderenti”, il relativo provvedimento viene pubblicato e gli aderenti che l’avevano precedentemente  contestato possono privare il rappresentante della facoltà di stipulare l’accordo (art. 840-quaterdecies co.5, 6 e 7).

Alcuni aspetti della normativa italiana non sono conformi alla direttiva.

Ciò vale, in primo luogo, per la disciplina della transazione ante-sentenza, che può essere conclusa dalle parti, senza prevedere alcuna verifica né autorizzazione da parte del giudice (in ogni caso obbligatoria in base alla direttiva) e per effetto della quale, a prescindere dall’accettazione o meno da parte degli aderenti a quel momento palesatisi (early opt-in), il processo si estingue, salvo che almeno uno degli aderenti “preventivi” si costituisca in giudizio, tramite difensore, per la prosecuzione della causa, assumendo, si presume, il ruolo del ricorrente (art. 840-bis co.6). 

Nella transazione post sentenza è prevista la facoltà dell’aderente di non aderire alla transazione (facoltà che la direttiva consente di prevedere), ma essa richiede una sorta di doppio “opt out”: con il primo l’aderente è tenuto a depositare una motivata contestazione dello schema di accordo; con il secondo, dopo che il giudice ha autorizzato il rappresentante alla conclusione dell’accordo, l’aderente deve sostanzialmente revocare il mandato conferito con l’adesione al rappresentante. In mancanza di uno di questi due passaggi, da compiersi entrambi entro un termine piuttosto breve (15 giorni) dalla rispettiva pubblicazione, l’accordo si intende accettato dall’aderente. 

Non pare che la direttiva, pur lasciando alle normative nazionali la possibilità che l’aderente accetti o rifiuti la transazione, consenta un meccanismo così complesso di (doppia) manifestazione di volontà da parte dell’aderente per evitare di essere vincolati dalla transazione.

           xiii. Finanziamento dell’azione da parte di terzi

Uno degli aspetti maggiormente dibattuti delle azioni collettive risarcitorie è il tema dei sistemi di finanziamento (funding), vale a dire dei meccanismi attraverso i quali queste azioni possono essere economicamente sostenibili.

I modelli e le soluzioni possono essere varie: dalle ricche success fee riconosciute alle law firm americane (che possono in tal modo investire ingenti risorse nell’avvio e gestione di costose class action) ai finanziamenti pubblici di stampo canadese, dal contenimento delle spese di giustizia agli aiuti (privati o pubblici) diretti alle organizzazioni no profit legittimate all’azione.

Un fenomeno che si è venuto affermando nel mondo anglosassone, e che da tempo ha varcato sia l’Oceano Atlantico che la Manica, è quello dei fondi di investimenti specializzati (litigation fund) che finanziano l’azione a fronte di un ritorno economico atteso all’esito della controversia. Non si tratta di un modello specifico per le azioni collettive, ma è evidente che tali tipi di azioni siano particolarmente attraenti e potenzialmente redditizie per questo tipo di investitori.

La direttiva, superando le iniziali reticenze manifestate anche su questo tema, contiene una specifica disciplina sul finanziamento delle azioni rappresentative risarcitorie (art.10), interamene dedicata al caso in cui l’azione sia finanziata da un terzo (c.d. third party funding).

La relativa disciplina che gli Stati membri dovranno adottare, nella misura in cui il finanziamento dell’azione da parte di un terzo sia consentito dal diritto nazionale, è piuttosto articolata e in sostanza mira ad evitare conflitti di interesse e a prevedere un controllo approfondito da parte del giudice.

 Quanto al primo aspetto, la direttiva prevede che il finanziamento da parte di terzi che abbiano un interesse economico nella proposizione o nell’esito dell’azione rappresentativa risarcitoria “non allontani l’azione rappresentativa dalla tutela degli interessi collettivi dei consumatori” (art.10.1).

A tal fine, occorre che le decisioni dell’ente legittimato, inclusa quella di addivenire ad una transazione, non siano “indebitamente influenzate” da un terzo in contrasto con l’interesse collettivo dei consumatori interessati e che l’azione non sia intentata un’azione nei confronti di un convenuto che sia concorrente del terzo finanziatore dell’azione o dal quale il terzo dipenda  (art.10.2).

In caso di “dubbi giustificati” sul rispetto di queste condizioni, esse sono soggette alla valutazione del giudice, al quale gli enti legittimati devono comunicare un “resoconto finanziario che elenca le fonti di fondi utilizzati per finanziare l’azione” (art. 10.3). Il giudice potrà adottare “misure appropriate”, come per esempio “richiedere all’ente legittimato di rifiutare o apportare modifiche riguardo al finanziamento in questione e, ove necessario, opporsi alla legittimazione dall’ente legittimato” in quella specifica azione. 

Il finanziamento dell’azione da parte di un terzo, benché sinora non disciplinato e poco presente nella realtà del nostro Paese, deve ritenersi consentito dall’ordinamento giuridico nazionale.

La materia dovrà quindi essere oggetto di una integrazione degli art.840-bis e segg., che nulla dispongono in merito.

         xiv. Assistenza agli enti legittimati

Sempre al fine di assicurare la sostenibilità economica delle azioni rappresentative, la direttiva prevede poi una serie di misure dirette a contenere i costi a carico degli enti legittimati e a consentire finanziamenti diretti agli stessi.

In particolare, dovranno essere adottate misure per garantire che le spese di procedimento relative alle azioni rappresentative non impediscano agli enti legittimati l’effettivo esercizio del loro diritto all’azione (art. 20), che potranno consistere anche in un finanziamento pubblico, compreso un sostegno strutturale agli enti legittimati, e l’applicazione di oneri amministrativi e giudiziari contenuti o l’accesso al patrocinio a spese dello Stato (art. 20.2).

Inoltre, la direttiva consente agli enti legittimati di chiedere “contributi di adesione” o analoghi “oneri di modesta entità” ai consumatori che hanno aderito all’azione (sia espressamente che tacitamente) (art.20.3).

Anche sotto questo profilo la L.31/2019 appare carente, limitandosi a prevedere, in tema di costi dell’azione, un sistema di “compensi premiali” al rappresentante comune degli aderenti e ai legali del ricorrente, ma non disponendo sostanzialmente nulla direttamente a favore del ricorrente (che sopporta gli ingenti costi extra-processuali, organizzativi e gestionali, dell’azione di classe), come invece previsto dalla direttiva.

              xv. L’esibizione delle prove

La direttiva stabilisce che, qualora un ente legittimato abbia fornito prove sufficienti per supportare un’azione rappresentativa e abbia indicato che ulteriori elementi di prova si trovano nella disponibilità del convenuto o di un terzo, il giudice ordini che tali prove siano esibite, fatte salve le norme nazionali e dell’Unione in materia di riservatezza e proporzionalità (art.18).

La disciplina della L.31/2019 in materia di esibizione delle prove (art.840-quinquies co. da 5 a 13), che mutua in larga misura il contenuto della normativa in materia di danni antitrust, appare più articolata e completa di quella prevista dalla direttiva, salvo laddove omette di includere il terzo tra i soggetti ai quali può essere rivolto l’ordine di esibizione del giudice, risultando pertanto necessaria una sua integrazione sul punto.

             xvi. L’attuazione della direttiva in Italia

In conclusione, l’attuazione della direttiva in Italia impone in primo luogo numerose e talvolta significative modifiche e integrazioni della L.31/2019, ma potrebbe al contempo essere l’occasione per una rivisitazione di altri aspetti della legge italiana che, pur formalmente non contrastanti con la norma comunitaria, andrebbero opportunamente rivisti e migliorati. 

Gli aspetti analizzati ai punti precedenti sono riepilogati nella Tabella allegata alla presente nota, nella quale  viene evidenziata la compatibilità della disciplina della L.31/2019 con la direttiva ovvero la necessità od opportunità di modifiche od integrazioni.

Come si è visto, inoltre, la direttiva lascia agli Stati membri ampi margini di discrezionalità sulle soluzioni da adottare a livello nazionale, anche su aspetti rilevanti dell’azione quali, in particolare, la scelta tra sistema opt-in e opt-out (ovvero l’adozione di entrambi i sistemi), l’applicazione dei requisiti degli enti legittimati anche alle azioni nazionali, la validità delle transazioni nei confronti degli aderenti, la possibilità di avviare congiuntamente l’azione inibitoria e risarcitoria, l’assistenza agli enti legittimati.

Non può non destare perplessità, quindi, il fatto che la Legge di delegazione europea 2021 (L.4 agosto 2022, n.127), che ha conferito al Governo la delega per l’attuazione della direttiva (che dovrà avvenire entro il 25 Dicembre 2022, con applicabilità dal 23 Giugno 2023) non contenga alcun criterio per la sua attuazione. Ne consegue che le importanti opzioni previste dalla direttiva verranno decise dal Governo, previo parere consultivo delle Commissioni parlamentari competenti, con il concreto rischio che l’adeguamento della normativa nazionale non avvenga con la dovuta attenzione e che si perda l’occasione per apportarvi le modifiche migliorative necessarie od opportune.

END

TABELLA ALLEGATA

Materia L.31/2019Direttiva 1828/2020Conformità
Ambito di applicazioneNessuna limitazione per materiaEU Consumer law (Allegato 1 alla Direttiva) 
Legittimazione attiva  Ciascun componente della classe + organizzazioni e associazioni iscritte ad elenco Min. Giustizia Qualifiedentities: enti legittimati designati dagli SM + event. Enti pubblici
Requisiti dei soggetti collettivi legittimatiNo profit, finalità statutaria a tutela dei diritti violati + requisiti previsti da DM 27/2022Costituzione conforme al diritto nazionale, no profit, attività, scopo statutario, solvente, indipendente, trasparenza finanziamenti No
Legittimazione passivaImprese, enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilitàProfessionisti: persona fisica o giuridica, pubblica o privata, che agisce anche tramite un’altra persona Opportuna modifica
Inammissibilità dell’azione Manifesta infondatezza Disomogeneità dei diritti Conflitto di interessi Inadeguatezza del ricorrenteRinvio al diritto nazionale (richiamo alla manifesta infondatezza)
Rappresentanza dell’ente legittimatoNella “terza fase” non rappresenta gli aderenti e non partecipa al processoGli interessi dei consumatori sono rappresentati dall’ente legittimato e questo esercita nell’azione i diritti del ricorrenteNo, Necessaria modifica.
Raccolta della classe (opt-in / opt-out)Opt-in nel corso della prima fase di giudizio (early opt-in) e dopo la sentenza  di accertamento (late opt-n).Opt-in o opt-out o entrambi, a discrezione degli SM (solo opt-in nelle azioni transfrontaliere)Opportuna modifica
Raccolta della classe (late opt-in)Late Opt-in dopo la sentenza di accertamento
Art.9.6 RAD + Considerando 47 Sì
Oggetto dell’azione collettiva risarcitoria Risarcimento del danno e restituzioni Indennizzo, riparazione, sostituzione, riduzione del prezzo, risoluzione del contratto, rimborso prezzoNo. Integrazione necessaria.
Informazioni ai class membersPubblicazione degli atti sulla piattaforma ad hoc del Ministero GiustiziaInformazioni sul sito web del proponente. Informazioni tempestive e con mezzi appropriati ai consumatori interessati al fine di esercitare opt-in o opt-out. Obbligo del professionista di informare a sue spese gli interessati, anche individualmente,  sull’esito ad essi favorevole.No. Integrazioni necessarie.
Prescrizione dei diritti dei class membersI termini di prescrizione dei diritti dei membri della classe sono interrotti o sospesi dall’atto di adesioneLe azioni rappresentative inibitoria e risarcitoria  sospendono o interrompono  i termini di prescrizione dei diritti dei consumatori interessati. No. Integrazione necessaria 
Azione inibitoria e risarcitoria congiunteSeparazione obbligatoria dei giudiziPossibilità di un’unica azioneOpportuna modifica
Valore di prova cross-border delle decisioni definitiveNon disciplinatoUna decisione definitiva amministrativa o giudiziaria sulla violazione vale come prova anche nelle azioni avviate negli altri SMNo. Integrazione necessaria.
TransazioniTra le parti: adesione esplicita dell’aderente. Tra “rappresentante comune” e resistente: adesione tacita dell’aderente + autorizzazione del giudice. Controllo e approvazione da parte del giudice. Transazione approvata vincolante anche per i consumatori interessati. Possibilità di prevedere la facoltà degli interessati di accettare o rifiutare. No. Revisione necessaria.
Finanziamento dell’azione da parte di terzi (Third Party Funding – TPF)Non disciplinato. Inammissibilità dell’azione in caso di “conflitto di interessi”.
TPF consentito a determinate condizioni (divieto di conflitti di interesse, decisioni dell’attore influenzate dal terzo, azioni nei confronti di un convenuto concorrente del finanziatore). Possibile valutazione e interventi da parte del giudice.No. Integrazione necessaria.
Assistenza agli enti legittimatiNon disciplinata. (compensi «premiali» a favore del rappresentante comune degli aderenti e del legale del ricorrente, non a favore del ricorrente; possibile “fondo spese” a carico dell’aderente). Le spese del procedimento non devono impedire agli enti legittimati l’esercizio dell’azione. Possibili finanziamenti o misure di sostegno pubblici. Possibili contributi di modesta entità da parte degli aderenti.No. Revisione/integrazione necessaria.
Esibizione delle proveOrdine di esibizione del giudice al resistente Ordine di esibizione del giudice al resistente e al terzoNo. Necessaria integrazione

 1Mauro CAPPELLETTI, Access to Justice, 1978-81, frutto del Progetto Access-to-Justice di Firenze, che ha riunito un team multidisciplinare di giuristi, sociologi, antropologi, economisti e politici di circa trenta nazioni. Vedi anche Mauro CAPPELLETTI, Bryant GARTH, “Access to Justice: the newest wave in the worldwide movement to make rights effective”, in Buff. L. Rev., 27, 1978, p.29.

2Vedi Libro Verde della Commissione CE su “L’accesso dei consumatori alla giustizia” (COM-93-576 def.), sul quale Paolo MARTINELLO, “Libro Verde sull’accesso dei consumatori alla giustizia. Appunti per un’analisi critica”, in Documenti Giustizia, n.3/1994.  Va ricordato che sin dalla Risoluzione del Consiglio CEE del 14 aprile 1975 (GUCE C92, 25 aprile 1975, 1), comunemente considerata l’atto di nascita della politica comunitaria di tutela dei consumatori, il diritto al risarcimento dei danni è indicato come uno dei loro diritti fondamentali.

3Le altre possibili linee di azione individuate dal Libro Verde erano la semplificazione dei procedimenti giudiziari relativi alla gestione delle controversie di modesto valore economico (le c.d. small claims) e la promozione di sistemi alternativi di soluzione delle controversie (c.d. ADR – Alternative dispute resolution). 

4Paolo PARDOLESI, Roberto PARDOLESI, “La (azione di) classe non è acqua”, in Foro it., 144, 2019, p.325.

5Per un raffronto tra private e public enforcement, con particolare riferimento alla materia antitrust, v. Giorgio AFFERNI, “La nuova azione di classe antitrust”, in Mercato Concorrenza Regole, Bologna, 3, 12/2021, p.437.

6Vedi Provvedimento Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato,  n. 8546 del 25 luglio 2000 (confermato da TAR Lazio, sent. 6139/2001 e dal Consiglio di Stato, sent. 2199/2002). Il diffuso contenzioso individuale che fece seguito a tale provvedimento, avviato prevalentemente avanti ai Giudici di Pace e volto al risarcimento del danno (differenziale di premio, di regola quantificato nel 20%, frutto dell’intesa vietata) indusse il Governo, anche su pressione delle compagnie assicurative, ad approvare il d.l. 8 febbraio 2003 n. 18 (convertito in L. 7 aprile 2003 n. 63), noto come “decreto salva-compagnie”, con il quale fu impedito ai Giudici di Pace di decidere secondo equità tutte le controversie derivanti da contratti di massa (tra i quali rientravano le polizze r.c. auto). Iniziativa legislativa di rara rozzezza, con la quale il Governo intese fronteggiare il (presunto) rischio di un’esplosione di micro-contenzioso da parte degli assicurati danneggiati dal cartello. L’esigenza di strumenti processuali analoghi alla class action, cioè di azioni collettive risarcitorie a tutela dei consumatori, è stata manifestata per la prima volta alle istituzioni del nostro paese dall’associazione Altroconsumo nel Marzo 2003 nel corso della consultazione parlamentare relativa alla conversione in legge del decreto.

7Sulla necessità di introdurre in Italia una forma di azione collettiva risarcitoria a tutela dei consumatori a seguito degli scandali finanziari dei primi anni 2000 cfr. Paolo MARTINELLO, La class action, in Consumatori, Diritti e Mercato, n.1/2006, 90 (www.consumatoridirittimercato.it/wp-content/uploads/2012/12/1-2006-la-class-action.pdf). Paradossalmente, lo sbocco legislativo del 2008-2009, benché sospinto dai predetti scandali, ha impedito che essi fossero soggetti ai nuovi rimedi processuali, prevedendo che questi fossero applicabili solo agli illeciti futuri (vedi nota 15)

8Per una ricostruzione delle normative succedutesi nel tempo v. Angelo D. DE SANTIS, La tutela giurisdizionale collettiva. Contributo allo studio della legittimazione ad agire e delle tecniche inibitorie e risarcitorie, Napoli, 2013, 532.

9Introdotta dalla L. n. 244/2007 (Legge finanziaria 2008).

10Introdotto dalla L.99/2009 (art.49), applicabile a far data dal 1° gennaio 2010 agli illeciti successivi al 15 agosto 2009, e successivamente modificato con d.l. n.1/2012 (conv. in L. n. 27/2012) che ha opportunamente sostituito il requisito della “identità dei diritti” tutelabili con quello della “omogeneità”. Sull’art.140 bis v. Claudio CONSOLO, Beatrice ZUFFI, L’azione di classe ex art.140 bis cod. cons. Lineamenti processuali, Padova, 2012; Ilaria PAGNI, “L’azione di classe del nuovo art.140 bis: le situazioni soggettive tutelate, l’introduzione del giudizio e l’ammissibilità della domanda”, in Riv. dir. civ., 4, 2010, 349.

11Sulla novella del 2019 v. Ilaria SPEZIALE, “La nuova azione di classe: riflessioni critiche sulla riforma”, in Il Corr. Giur., 7/2020, 963; Maria L. GUARNERI, “Note a prima lettura sull’art. 840-bis c.p.c.”, in www.judicium.it, 4 giugno 2019, 4; Ulisse COREA, Maria L. GUARNERI, “La nuova class action al debutto: uno sguardo d’insieme”, in www.judicium.it, 18 Giugno 2021; Claudio CONSOLO, “L’azione di classe, trifasica, infine inserita nel c.p.c.”, in Riv. Dir. Proc., 2, 2020, 716; id. “La terza edizione della azione di classe è legge ed entra nel c.p.c.. Uno sguardo di insieme ad una amplissima disciplina”, in Il Corr. Giur., 6, 2019, 738; Ugo RUFFOLO (a cura di), Class action ed azione collettiva inibitoria: commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n.31, Milano, 2021; Vittoria BARSOTTI, Fabio DE DOMINCIS, Giacomo PAILLI, Vincenzo VARANO (a cura di), Azione di classe: la riforma italiana e le prospettive europee,Torino, 2020; Davide AMADEI, “Nuova azione di classe e procedimenti collettivi nel codice di procedura civile”, in Nuove leggi civ. comm., 42, 5, 2059, p.1050; Giorgio AFFERNI, , op.cit., 2021.

12L’entrata in vigore della riforma, inizialmente fissata ad un anno dalla sua pubblicazione in G.U, avvenuta in data 18 aprile 2019, è stata rinviata una prima volta di sei mesi dal d.l. n. 169/2019 (c.d. milleproroghe), poi di un ulteriore mese dalla legge di conversione (L. n.8/2020), al fine di consentire al Ministero di predisporre le necessarie modifiche dei sistemi informatici per permettere il compimento di una serie di attività (dalla pubblicità dell’azione al deposito delle adesioni) con modalità telematiche. Infine, è intervenuta l’ulteriore proroga prevista dall’art. 31 ter, d.l. n. 137/2020, conv. in L. n. 176/2020. Va detto che, dopo tre rinvii per ragioni “tecniche”, un ulteriore rinvio della riforma appariva a questo punto ben più giustificato e persino opportuno alla luce dell’avvenuta approvazione, nel dicembre 2020, della Direttiva UE 1828/2000 sulle azioni rappresentative a tutela dei consumatori, che gli Stati membri dovranno attuare entro il 25 dicembre 2022 e che comporterà rilevanti modifiche ed integrazioni al testo della legge italiana (su cui infra al paragrafo 6).

13Vedi art. 5 della L. 31/2019, che unitamente all’art. 140 bis ha abrogato anche gli artt. 139 e 140 del Codice del Consumo in materia di azione inibitoria.

14Vedi art. 7 co.2 L. 31/2019. Ne consegue che per gli illeciti consumeristi commessi dal 15 agosto 2009 (data di decorrenza della applicabilità dell’art. 140 bis) al 18 maggio 2021 resta esperibile l’azione di classe ex art. 140 bis, mentre agli illeciti commessi dal 19 maggio 2021 (data di entrata in vigore della L.31/2019) in poi, ivi compresi quelli consumeristi, è applicabile la nuova azione di classe introdotta dalla riforma. Quanto agli altri soggetti tutelati dalla azione di classe ex L.31/2021, anch’essi subiscono gli effetti perversi del “regime temporale” previsto dalla riforma, restando obbligati ad agire individualmente per gli illeciti anteriori al 19 maggio 2021, per i quali la nuova azione di classe non potrà essere utilizzata (con problemi analoghi a quelli dei consumatori qualora l’illecito sia stato posto in essere, e abbia causato pregiudizi, sia prima che dopo la predetta data).

15Anche per i possibili profili di incostituzionalità per contrasto con l’art. 3 Cost., critiche peraltro analoghe a quelle che aveva suscitato l’applicazione solo pro-futuro della L. 99/2009, v. Ilaria SPEZIALE, op.cit, 967; Remo CAPONI, Il nuovo volto della class ation, in Foro it., 5, 2009, 383; Alessandro PALMIERI, La tutela collettiva dei consumatori. Profili soggettivi, Torino, 2011, 62; Claudio CONSOLO, Beatrice ZUFFI, op.cit., 59; Andrea GIUSSANI, “Tutela individuale e tutela collettiva del consumatore dalle pratiche commerciali scorrette fra diritto sostanziale e processo”, in Giur. It., 7, 2010, 1679; Angelo D. DE SANTIS, op. cit., 184.

16Giorgio AFFERNI, op. cit, p.465 propone che in tali casi nella nuova azione si possano dedurre anche i danni antecedenti alla data della sua entrata in vigore, in quanto soluzione maggiormente conforme al principio di effettività ed economicità dei giudizi.

17Cfr. Claudio CONSOLO, op.cit., p.716; Ilaria SPEZIALE, op.cit, p.968.

18Per una ricognizione della casistica maturata in Italia in applicazione dell’art. 140 bis, cfr. Fabio DE DOMINICIS, “I numeri e lo stato dell’arte dei primi dieci anni di vita dell’istituto”, in Valeria BARSOTTI ed al. (a cura di), op.cit., p.267. Vedi anche Sofia CARUSO, La riforma dell’azione di classe: l’impulso europeo allo sviluppo dei procedimenti collettivi risarcitori, Tesi di laurea in giurisprudenza, Trento, 2022, 30 e segg., in corso di pubblicazione.

19Ad esempio, vedi Cfr. Paolo MARTINELLO, “La class action in Italia: un po’ di coraggio per liberarne le potenzialità”,  in Consumatori, Diritti e Mercato, 5/2014 (http://www.consumatoridirittimercato.it/diritti-e-giustizia/la-class-action-in-italia-un-po-di-coraggio-per-liberarne-le-potenzialita/); id., “Violazione della competition law e risarcimento dei danni ai consumatori: i primi passi della class action in Italia”, in Consumatori, Diritti e Mercato, 10/2015 (http://www.consumatoridirittimercato.it/diritti-e-giustizia/violazione-della-competition-law-e-risarcimento-dei-danni-ai-consumatori-i-primi-passi-della-class-action-in-italia/) ove veniva evidenziato come, anche volendo rimanere ancorati al meccanismo dell’opt-in, avrebbero dovuto quantomeno essere introdotti correttivi all’art. 140 bis quali: più efficaci  forma di pubblicità e di informazione della classe, attraverso mezzi alternativi a quelli tradizionali (internet, social network, TV pubblica, etc) ivi comprese, ove possibile, comunicazioni individuali agli interessati; obblighi di disclosure a carico dell’impresa convenuta, finalizzati alla individuazione della classe ed alla effettuazione di comunicazioni personalizzate, anche a cura dell’impresa stessa, sotto il controllo del giudice; costi della pubblicità anche a carico dell’impresa convenuta; ulteriore semplificazione delle forme dell’adesione; estensione del termine di deposito delle adesioni. 

20Ci si riferisce al fatto che il governo a maggioranza “giallo-verde” sorto nel 2018 ha operato, come noto, una sorta di suddivisione di “materie” tra le forze politiche la componevano, nell’ambito della quale la riforma dell’azione di classe ha costituito un punto qualificante del programma del Movimento 5 Stelle (e del relativo Ministro della Giustizia), il quale, pur animato dalle migliori intenzioni, ha elaborato un testo sostanzialmente “blindato” e impermeabile ai suggerimenti sia delle associazioni di consumatori che degli altri soggetti interessati.

21Mentre l’art. 140 bis è finalizzato alla “Tutela dei diritti individuali omogenei e degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti” (co. 1) intesi quali “persone fisiche che agiscono per fini che non rientrano nel quadro della loro attività commerciale, industriale, artigianale o professionale eventualmente svolta” (art.3, co.1, letta, Cod. Consumo), l’art. 840-bis ha come scopo la “tutela dei diritti individuali omogenei dei soggetti appartenenti alla classe” rientrando in essa sia persone fisiche che giuridiche (quindi  consumatori, cittadini, lavoratori, professionisti, azionisti, micro/piccole/medie imprese, etc.). Inoltre, mentre l’art. 140 bis prevede un ambito di applicazione limitato alle violazione i) dei diritti contrattuali omogenei di una pluralità di consumatori e utenti nei confronti di una stessa impresa, ii) dei diritti omogenei dei consumatori finali di un prodotto o servizio nei confronti del produttore, iii) dei diritti omogenei al ristoro del pregiudizio derivante da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali  (co.2), l’art. 840 bis e segg. sono applicabili in tutti i casi di illeciti contrattuali ed extracontrattuali che violano i diritti individuali omogenei dei componenti della classe, senza limitazioni per materia.

22Mentre l’art. 140 bis prevede che l’adesione espressa (opt-in) possa  avvenire solo dopo la dichiarazione di ammissibilità entro il termine massimo di 120 giorni dalla data di decorrenza stabilita dal Giudice (co. 3), la novella prevede un c.d. “doppia finestra”: la prima adesione espressa (early opt-in) può avvenire dopo la dichiarazione di ammissibilità dell’azione entro il termine minimo di 60 giorni e massimo di 150 giorni (art. 840-quinquies, co.1),la seconda (late opt-in), entro identici termini, dopo la sentenza di accertamento (art. 840-sexies, co. 1, lett.e) .

23Mentre l’art. 140 bis prevede che nello stesso giudizio – superato il filtro di ammissibilità dell’azione con ordinanza che definisce altresì i confini soggettivi e oggettivi della classe – vengano raccolte e depositate le adesioni e si pervenga ad una decisione nel merito (di accertamento e condanna) con quantificazione delle somme definitive spettanti a ciascun aderente (ovvero stabilendo un criterio omogeneo di calcolo per la loro quantificazione) (co.12), la novella prevede che, superato il filtro ammissibilità ed effettuata la prima raccolta di adesioni (early opt-in), si pervenga ad una sentenza di mero accertamento dell’illecito e condanna generica al risarcimento, con la quale verrà altresì ridefinita la classe, riaperta la raccolta delle adesioni, nominato il giudice delegato e il rappresentante comune degli aderenti, avente i requisiti per la nomina a curatore fallimentare (art. 840-sexies), cui farà seguito la “terza fase” con la nuova raccolta adesioni (late opt-in), la redazione del progetto dei “diritti individuali omogenei“ degli aderenti, in contraddittorio tra resistente, aderenti e rappresentante comune ed infine emesso il decreto motivato del giudice delegato di condanna al risarcimento o alle restituzioni dovuti agli aderenti (art. 840-octies).

24Va osservato che l’art. 840-ter prevede, analogamente all’art.140 bis, tra i requisiti di ammissibilità dell’azione quello della omogeneità dei diritti individuali tutelabili (co.4, lett.b).

25Sul punto v. Ilaria SPEZIALE, op. cit., 964, la quale evidenzia come in tal modo l’azione di classe si avvicina al modello statunitense, da considerarsi senz’altro liberista (come affermato da GIUSSANI, Modelli extraeuropei di tutela collettiva risarcitoria, in Riv. Trim. dir. Proc. Civ., 4, 2007, 1258). Vedi anche Antonio SPADAFORA, La “nuova” azione di classe: da strumento protettivo settoriale a rimedio di diritto comune?, in Contratti, 1, 2016, 73.

26La L.31/2019 ha opportunamente emendato l’art. 1 co.1 del D. Lgs. n. 3/2017 (c.d. Decreto Danni)  prevedendo il diritto al risarcimento da illecito antitrust «anche con riferimento alle azioni collettive di cui al titolo VIII-bis del libro quarto del codice di procedura civile» (nel quale sono stati inseriti gli artt. 840-bis e segg.).

27Ai sensi dell’art. 18, lett. d-bis) del Codice del Consumo, per microimprese si intendono le “entità, società o associazioni che, a prescindere dalla forma giuridica, esercitano un’attività economica, anche a titolo individuale o familiare, occupando meno di dieci persone e realizzando un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a due milioni di euro, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 3, dell’allegato alla raccomandazione n. 2003/361/CE della Commissione, del 6 maggio 2003”.

28L’estensione alle micro-imprese della tutela in materia di pratiche commerciali scorrette è frutto della modifica del Codice del Consumo introdotta dall’art.7 del D.L. n. 1/2012 il quale, oltre alla definizione di cui alla nota precedente, ha incluso le micro-imprese nell’ambito di applicazione (art. 19 Codice del Consumo) delle disposizioni in materia di pratiche commerciali scorrette (esclusa la pubblicità comparativa od ingannevole, che resta disciplinata dal d.lgs. n.145/2007).

29Vedi le posizioni critiche espresse da Confindustria e persino da Confcommercio sulla riforma, richiamate in Ilaria SPEZIALE, op.cit., 966.

30In tal senso, con argomentazioni convincenti e condivisibili, Claudio CONSOLO, op.cit., p.741 e Ilaria SPEZIALE, op.cit., 970.

31A causa della c.d. “apatia razionale” che spiega la scarsa propensione dei class member ad affrontare passi formali e adempimenti, anche se non complessi, per aderire ad una azione incerta nell’esito, a fronte di un valore contenuto del diritto in gioco.

32Nel modello opt-out il vincolo del giudicato si produce su tutti gli appartenenti alla classe, salva l’eventuale manifestazione di volontà contraria entro un certo termine e previa adeguata informazione. Per una dimostrazione “plastica” del diverso risultato a cui portano i due diversi sistemi di raccolta della classe, si consideri il caso dello scandalo “dieselgate”: nell’azione di classe avviata in California nel 2016 basata sul sistema opt-out, questo è stato  esercitato da poco più di 3 mila acquirenti dei veicoli coinvolti, pari a circa lo 0,5% dei 500 mila membri della classe, dei quali pertanto oltre il 99% hanno ottenuto il risarcimento (a seguito di un settlement); nell’azione di classe introdotta in Italia da Altroconsumo (su cui meglio infra) ex art. 140 bis, basato sul sistema opt-in, hanno aderito circa 75 mila acquirenti sui 600 mila veicoli coinvolti, pari a poco più del 10% (che rappresenta peraltro una percentuale particolarmente elevata nell’ambito di un sistema opt-in, raggiunta grazie alle intense campagne informative, anche personalizzate, poste in atto da Altroconsumo).

33Vedi Andrea GIUSSANI, “La fase di determinazione del quantum nella nuova azione di classe”, in Giur. It., 10, 2019, p.2316.

34Vedi Ilaria SPEZIALE, op.cit., 972.

35Vedi art. 840-septies, secondo il quale l’atto di adesione deve contenere, tra l’altro, l’esposizione dei fatti costituenti le ragioni della domanda di adesione (co.2, lett.e) nonché l’eventuale produzione di dichiarazioni testimoniali di terzi rilasciate ad un avvocato, che ne attesta l’identità (ex art. 252 cpc) e che il giudice dovrà valutare secondo il suo prudente apprezzamento (co.4).

36Vedi art. 840-octies, secondo il quale, dopo il deposito degli atti di adesione, i) dapprima il resistente deposita una memoria difensiva prendendo posizione “sui fatti posti dagli aderenti a fondamento della domanda”, incluse le relative eccezioni (estintive, modificative o impeditive) sui diritti fatti valere dagli stessi (co. 1), ii) poi il rappresentante comune degli aderenti predispone il “progetto dei diritti individuali omogenei, rassegnando per ciascun aderente le sue “motivate conclusioni”, salva la nomina da parte del Tribunale di uno o più esperti tecnici per la valutazione dei fatti dedotti dagli aderenti(co.2), iii) quindi resistente ed aderenti possono depositare osservazioni scritte e documenti integrativi (co. 3), iv) il rappresentante comune apporta le eventuali variazioni al progetto dei diritti individuali (co. 4).

37In base all’art. 840 septies , co.2, lett.h, l’atto di adesione deve contenere, tra l’altro, il conferimento al rappresentante comune del potere di rappresentare l’aderente e di compiere nel suo interesse tutti gli atti, di natura sostanziale e processuale, relativi al diritto individuale omogeneo indicato nella domanda di adesione.

38Così Ilaria SPEZIALE, op.cit., 972.

39In particolare, qualora la variazione del progetto da parte del rappresentante comune a seguito delle osservazione scritte e dei documenti integrativi prodotti dagli aderenti (e dal resistente), che è solo “eventuale” (art. 840-octies, co.4), non soddisfa le richieste di alcuni aderenti.

40Andrea GIUSSANI, op.cit., p.1576, lo definisce “servo di due padroni” con riferimento al suo duplice ruolo di rappresentante degli aderenti e di pubblico ufficiale.

eAndrea GIUSSANI, op.cit., p.1576, rileva anche l’ambiguità di un rappresentante comune che non può essere al tempo stesso ausiliario del giudice e soggetto remunerato in proporzione all’entità del risarcimento complessivo ed al numero delle adesioni. Le quali adesioni oltretutto, aggiungiamo noi, sono il frutto dell’attività e delle risorse impiegate dall’organizzazione o associazione che ha promosso l’azione per informare e assistere i soggetti interessati ad aderire, ma per le quali attività essa non riceve alcun rimborso né riconoscimento, avendo nel frattempo perso il ruolo di parte processuale. Esattamente il contrario di ciò che avviene in Francia, che pure prevede un sistema di late opt-in successivo alla sentenza di accertamento, ma dove è addirittura l’associazione a chiedere l’avvio della successiva fase di liquidazione collettiva del danno, nella quale svolge un ruolo centrale, ricevendo ed esaminando tutte le domande di adesione, nonché negoziando con il convenuto, su input del giudice, eventuali transazioni, v. Caterina SILVESTRI, “La tutela collettiva in Europa: la action de groupe francese”, in Vittoria BARSOTTI e al. (a cura di), op. cit., 219. 

42Ai quali,  solo in relazione a tale liquidazione, viene notificato il decreto del giudice (art. 840-octies co.5).

43Come suggerito da Giorgio AFFERNI, op. cit., p.463.

44Lo stesso Giorgio AFFERNI, op. cit., p.463 ricorda che un emendamento che prevedeva espressamente tale possibilità non è stato approvato in sede di dibattito parlamentare e giustamente suggerisce, de jure condendo, che la soluzione più coerente ed efficace dovrebbe essere quella di consentire al Tribunale di nominare rappresentante comune degli aderenti la stessa organizzazione o associazione che ha promosso l’azione di classe.

45Vedi in tal senso Edoardo FERRANTE, “Diritti soggettivi e processo di massa”, in Vittoria BARSOTTI e alt. (a cura di),  op. cit., p.76, secondo il quale la “terza fase” promette di causare una “individualizzazione di ritorno” della lite nata collettiva.

46Sulla necessità che nell’azione di classe ci si focalizzi sulle questioni comuni “emarginando” quelle strettamente individuali, v. Edoardo FERRANTE, op.cit., p.67.

47Come avvenuto sia nel caso Altroconsumo/Trenord che nel caso Altroconsumo/Volkswagen (dieselgate). Nel primo, la Corte di Cassazione (Sent. 31 maggio 2019, n. 14886, in Danno e responsabilità, 2019, p.634, con nota di V.SELINI, “La cassazione chiarisce le condizioni indefettibili per una tutela di classe del danno non patrimoniale da inadempimento”; in Nuova Fiur. Civ. comm., 2019, 1002, con nota di Giulio PONZANELLI “Il danno non patrimoniale dei pendolari all’esame della Corte di Cassazione” e di Claudio SCOGNAMIGLIO, “La Cassazione delinea presupposti e limiti di risarcibilità del danno non patrimoniale contrattuale nell’azione di classe; e in Foro it., 2019, I, con nota di Angelo D. DE SANTIS), pur cassando la motivazione con la quale la Corte d’Appello di Milano (Sent. 25 agosto 2017, n.3756) aveva riconosciuto il danno non patrimoniale ai pendolari aderenti (causato da una serie di disservizi e liquidato in cento euro pro-capite), ha ritenuto risarcibile tale tipologia di danno subito dalla classe, estendendo i presupposti di risarcibilità del danno non patrimoniale fissati nelle sentenze di San Martino del 2008 al danno omogeneo, del quale sarà quindi necessario evidenziare i tratti comuni a tutti i membri della classe ovvero, in altri termini, le circostanze comuni sulle quali esso è fondato (Giulio PONZANELLI, “Risarcimento del danno e class action”, in Vitttoria BARSOTTI, op. cit., 31). Nel caso Altroconsumo/Wolkswagen (dieselgate) la sentenza di primo grado del Tribunale di Venezia (Sent. 7 luglio 2021 n.1423, su cui meglio infra al paragrafo 4) ha quantificato i danno patrimoniale in un importo di euro tremila a favore di ciascun aderente, sulla base di una efficace interpretazione dell’art. 140 bis in tema di omogeneità dei diritti degli aderenti: la sentenza afferma che «la conseguenza dannosa della lesione del diritto all’autodeterminazione del consumatore ben può tradursi in una disutilità patrimoniale per il consumatore medesimo in termini di maggior esborso (…) per l’acquisto di un bene con caratteristiche qualitative inferiori o comunque diverse rispetto a quelle fatte credere al consumatore, destinatario di una campagna di marketing fuorviante (…) parametrato al maggior prezzo dei veicoli omologati Euro5, sostenuto per l’acquisto di un veicolo formalmente Euro5, ma di fatto di classe Euro inferiore (…). Il richiamo all’equità  (…) esclude la necessità di un accertamento personalizzato di fatto (…) valorizzando la natura collettiva del giudizio e la pluralità dei crediti vantati. (…) pervenire ad una decisione di tipo uniforme, senza operare alcuna differenziazione (…) appare meglio rispondente ad agevolare la fase esecutiva (…). Nella parametrazione del danno non può non tenersi conto, in un’ottica di equità e di uniformità di giustizia sostanziale, delle soluzioni cui si è pervenuti nei diversi Paesi dell’Unione Europea attinti dal cd. dieselgate (decisione dell’Autorità Giudiziaria spagnola […] e accordo stragiudiziale raggiunto nella Repubblica Federale Tedesca tra Volkswagen e la Vzbv)”.

48Come avvenuto nel caso Abbanoa, Tribunale di Cagliari, ord. 10 febbraio 2017, commentata da Fabio DE DOMINICIS, “Ciò che non fa la legge, lo fa il giudice, se capace. Azione di classe e previsione delle sottoclassi”, in giurisprudenza civile.com, 2018

49L’art. 140 bis attribuisce la legittimazione attiva a ciascun consumatore componente della classe, che può agire anche «mediante associazioni o comitati», l’art. 840-bis a ciascun componente della classe nonché alle organizzazioni e associazioni senza scopo di lucro, i cui scopi statutari comprendano la tutela dei diritti violati, iscritte in un elenco presso il Ministero della Giustizia..

50L’art. 140 bis prevede che l’azione di classe possa essere avviata nei confronti del «professionista» (che il Codice del consumo definisce come la persona fisica o giuridica che agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale  o professionale, e chiunque agisce in nome e per conto di un professionista), l’art. 840 bis prevede la legittimazione passiva delle “imprese o enti gestori di servizi pubblici, relativamente ad atti e comportamenti posti in essere nello svolgimento delle loro attività”.

51Sia l’art. 140 bis che l’art. 840 bis prevedono l’accertamento della responsabilità e la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni.

52L’art. 140 bis prevede che l’azione sia soggetta ad un esame preliminare da parte del giudice (fase “filtro”) che la dichiara inammissibile (con ordinanza reclamabile ma non ricorribile in cassazione….) in caso di manifesta infondatezza, conflitto di interessi, non omogeneità dei diritti individuali e inadeguatezza del proponente a tutelare la classe. Sostanzialmente analoghi, anche se formulati in modo meno organico, i requisiti di ammissibilità dell’azione stabiliti dall’art. 840 bis.

53Ci riferiamo, in particolare, ai requisiti stabiliti dall’art. 3 del D.M. 27/2022 tra i quali è previsto l’obbligo di convocazione degli iscritti con cadenza almeno annuale (lett.d), di disporre di una “articolazione territoriale” e di non effettuare alcuna forma di pubblicità anche indiretta sul sito web dell’associazione (lett.e) e soprattutto il possesso dei requisiti di onorabilità previsti dalla Consob per gli amministratori di SIM e SICAV da parte non solo degli amministratori e rappresentanti dell’organizzazione ma addirittura degli iscritti (!), che in molte organizzazioni e associazioni possono ammontare svariate migliaia o decine di migliaia.

54L’art. 840-bis co. 2 si limita a prevedere due requisiti in capo alle organizzazioni e associazioni legittimate: l’assenza di fini di lucro e obiettivi statutari che comprendano la tutela dei diritti per i quali viene avviata l’azione. A questi vanno aggiunti quelli indicati dall’art.196-ter disp.att. che riguardano la sola verifica delle “finalità programmatiche”, l’adeguatezza a rappresentare i diritti omogenei azionati (verifica che peraltro spetta anche al giudice in sede di ammissibilità dell’azione), la “stabilità e continuità” e la verifica delle “fonti di finanziamento”.

55L’art. 137 del Codice del Consumo prevede, tra gli altri, il requisito di possedere un ordinamento interno a base democratica, un numero minimo di iscritti a livello nazionale e regionale, la tenuta dei relativi elenchi con le quote versate, lo svolgimento di attività da almeno 3 anni, il divieto generale di “connessione di interessi” con imprese di produzione e distribuzione. 

56L’iscrizione all’elenco di cui all’art. 137 del Codice del Consumo ha il fine di consentire all’associazione la nomina di un rappresentante all’interno del Consiglio Nazionale Consumatori e Utenti, che svolge le funzioni previste dall’art. 136, di natura tipicamente rappresentativa degli interessi dei consumatori presso le istituzioni nazionali e locali. Vedi Paolo MARTINELLO, “Il Consiglio Nazionale Consumatori e Utenti (commento all’art.4 L.281/1998)”, in Guido ALPA, Vanna LEVI (a cura di), I diritti dei consumatori e degli utenti, Milano, 2001.

57Vedi Paolo MARTINELLO, Il punto di vista dell’associazione dei consumatori. Come vengono scelti i casi,  in Vittoria BARSOTTI e al. (a cura di), op. cit., 292.

58Tale mezzo di pubblicazione è stato ordinato, ad esempio, dal Tribunale di Torino nel caso Altroconsumo/IntesaSanpaolo (Ord. 15 giugno 2012), dal Tribunale di Milano nel caso Altroconsumo/Trenord (Ord. 8 novembre 2013, in Giur. It., 2014, 3, 605 connota di Andrea GIUSSANI)) e dal Tribunale di Venezia nel caso Altroconsumo/Volkswagen (Ord. 25 maggio 2017, in Danno e responsabilità, 2018, 214).

59Nel caso Altroconsumo/Volkswagen, ad esempio, l’associazione ha acquisito dal PRA gli estremi dei proprietari delle auto coinvolte nello scandalo “dieselgate” (circa 600 mila) ai quali ha inviato una lettera individuale per informarli della avvenuta ammissione dell’azione e della possibilità e relative modalità di adesione. A seguito di tale iniziativa, circa 75 mila consumatori hanno aderito, pari a poco più del 10% della classe, una percentuale peraltro tutt’altro che irrisoria in un sistema opt-in.

60Per la gestione dei contatti con gli aderenti, sia prima che nel corso del giudizio, Altroconsumo, ad esempio, ha di regola istituito call center ad hoc.

61Nel caso Altroconsumo/Volkswagen, ad esempio, il Tribunale di Venezia ha ricevuto nel giro di poche settimane decine di migliaia di racc. ar e di PEC, che hanno causato la “paralisi” di alcuni uffici, tanto da attirare l’attenzione della stampa locale (v. https://www.italiaoggi.it/news/il-dieselgate-paralizza-il-tribunale-di-venezia-2206378).

62Ausiliari a tal fine sono stati nominati dal Tribunale di Torino nel caso Altroconsumo/FCA e dal Tribunale di Venezia nel caso Altroconsumo/Volkswagen, la cui attività ha richiesto in quest’ultimo caso circa due anni di lavoro e costi non indifferenti, posti provvisoriamente a carico solidale delle parti.

63Come avviene, ad esempio, ove la classe sia composta dei correntisti di un istituto bancario, dagli assicurati di una compagnia, dagli utenti di una impresa di telecomunicazioni o di forniture energetiche , dagli abbonati ad un servizio di trasporto, dagli iscritti ad un social network, etc.

64Una proposta in tal senso, come ricordato da Ilaria SPEZIALE, op.cit., 969, era stata avanzata da Altroconsumo nelle proposte di emendamento al DDL n.844 Disposizioni in materia di azioni di classe (approvato alla Camera dei Deputati il 3 ottobre 2018.

65Si può escludere a priori che oneri organizzativi ed economici di quella natura possano essere sopportati dal singolo membro della classe (al quale pure l’art. 840 bis riconosce legittimazione attiva), salvo che egli non agisca con il supporto di un soggetto finanziatore terzo (c.d. litigation fund o Third Party Funding), il cui ruolo e funzioni dovranno essere disciplinati in sede di attuazione della Direttiva 1828/2020 (su cui infra al paragrafo 6).

66Vedi infra al successivo paragrafo 6.

67Provvedimento AGCM n.24405 del 11 giugno 2013, sul quale vedi  Giorgio AFFERNI, “Class action e danno antitrust: il caso traghetti”, in Consumatori, Diritti e Mercato, 9/2012.

68Tribunale di Genova, ord. 4 ottobre 2012 in Fabio DE DOMINICIS, op.cit., p.269.

69Il quale consente al giudice, all’esito della prima udienza, “di sospendere il giudizio quando sui fatti rilevanti ai fini del decidere è in corso un’istruttoria davanti a un’autorità indipendente ovvero un giudizio davanti al giudice amministrativo”. Identica disposizione è ora contenuta nel nuovo art. 840-ter co.3 c.p.c..

70Sentenza TAR Lazio, Sez. Prima, 29 gennaio/7 maggio 2014.

71Sentenza Consiglio di Stato, Sez. Sesta, 14 aprile/4 settembre 2015.

72Provvedimento AGCM n.26781 (e altri) del 20 dicembre 2018.

73Ordinanza Tribunale di Milano, Sez. Imprese, 6 febbraio 2020, la quale rilevava che “dall’eventuale annullamento del provvedimento dell’AGCM, la presente class action – strutturata come follow on – potrebbe assumere le caratteristiche di un’azione stand alone, con oneri probatori sensibilmente rafforzati a carico degli attori e degli aderenti. In un bilanciamento tra interessi contrapposti, è necessario considerare che la prosecuzione del presente giudizio, anche nella fase iniziale deputata soltanto al vaglio dell’eventuale ammissibilità dell’azione, contrasta in modo netto con l’esigenza di garantire ai consumatori la possibilità di esprimere la loro adesione su basi di piena consapevolezza”.

74Sentenza Tar Lazio, Sez. Prima, n. 12545/2020.

75Sentenza Consiglio di Stato, Sez. Sesta, 13 gennaio/25 gennaio 2022.

76Posto che il d.lgs. 3/2017  dispone le sospensione della prescrizione dei diritti dei danneggiati quando l’AGCM avvia un istruttoria in relazione alla violazione del diritto della concorrenza cui  si  riferisce  l’azione per il risarcimento del danno, sospensione che si  protrae per un anno dal momento in cui la decisione relativa alla violazione del diritto della concorrenza e’ divenuta definitiva (art. 8 co.2).

77Sentenza TAR Lazio, Sez. Prima, 3 aprile 2019/31 maggio 2019..

78Il Consiglio di Stato (Sez. Sesta – Ord. 7 gennaio 2022) ha rigettato nel merito i motivi di appello di Volkswagen,  rinviando alla GGUE – ove il giudizio è tuttora pendente – la sanzionabilità della condotta sotto il profilo del ne bis in idem.

79Ordinanza Trib. Venezia 25 maggio 2017, in Danno e responsabilità, 2018, 214, con nota di V. SELINI, “Emissioni di ossido di azoto della Volksvagen e vaglio di ammissibilità della class action in Italia”, con la quale viene rilevata la “unicità della condotta illecita plurioffensiva denunciata e del c.d. danno-evento, non rilevano gli aspetti attinenti al c.d. danno-conseguenza, liquidabile anche in via equitativa e secondo criteri di calcolo «omogenei»).

80Sulle modalità di pubblicazione stabilite dal Tribunale e sulle ulteriori forme di pubblicità attuate da Altroconsumo vedi le precedenti note 59 e 60.

81Sentenza del Tribunale di Venezia n.1423 del 07.07.2021 in Foro it., 2021, I, 4023; in Danno e responsabilità, n.2, 2022, 243, con nota di Pasquale SANTORO, “Dieselgate italiano: (e)mission impossibile. Il Tribunale di Venezia accoglie la class action e, in sintonia con i Tribunali di Avellino e Genova, riconosce il risarcimento dei danni da illecito antitrust e da pratiche commerciali scorrette”; in Quotidiano Giuridico, 26 marzo 2022, con nota di Pasquale SANTORO, “Dieselgate: motori “puliti” ma solo sui rulli”; in www.judicium.it, 29 luglio 2021, con nota di Maria L. GUARNIERI, “Il Tribunale di Venezia si pronuncia sul caso Dieselgate: l’azione di classe approda alla condanna del gruppo Volkswagen”. Per un’analisi dei profili civilistici della vicenda “dieselgate” e della giurisprudenza tedesca sul caso, v. Francesca BERTELLI, Profili civilistici del “dieselgate”. Questioni risolte e tensioni irrisolte tra mercato e sostenibilità, Napoli, 2021.

82Sull’illecito extracontrattuale e il diritto al risarcimento del danno da pratica commerciale scorretta, la Sentenza del  Tribunale di Venezia afferma, tra l’altro, che «la condotta ha falsato la scelta dei consumatori al momento dell’acquisto, poiché li ha indotti ad assumere una decisione di notevole importo economico, che non avrebbero altrimenti preso ove consapevoli delle reali caratteristiche dei veicoli acquistati (v. §  74 del Provvedimento AGCM n. 26137 del 4.8.2016) (…). Dall’insieme dei diritti fondamentali enucleati all’art. 2 del Codice del Consumo si trae il diritto del consumatore all’autodeterminazione in campo negoziale, ovvero il diritto a compiere liberamente e consapevolmente le proprie scelte: anch’esso diritto fondamentale, ancorché non costituzionalizzato (cfr Cass., sez. un., 794/2009). La lesione della libertà contrattuale, a partire dal noto caso De Chirico (cfr. Cass. 4 maggio 1982, n. 2765), è fonte di responsabilità extracontrattuale per il terzo che abbia indotto colpevolmente in errore il contraente in ordine alle qualità del bene, determinandolo in tal modo alla conclusione del contratto, così da provocare una pura perdita patrimoniale.  L’inclusione nell’area dell’art. 2043 c.c. della violazione di ogni interesse che non sia di puro fatto, ha finito per assicurare la viabilità della tutela aquiliana alla libertà contrattuale in chiave di tutela dell’integrità del patrimonio del contraente, che non si sia determinato liberamente nello svolgimento dell’attività negoziale a causa della condotta dolosa o colposa del terzo ed abbia perciò solo subito danno ragguagliabile all’interesse negativo [inteso come differenza tra il patrimonio del danneggiato e quello che è diventato (realmente) in seguito alla condotta illecita altrui] (…). Va affermata la responsabilità aquiliana delle convenute, posto che la loro condotta integra tutti gli elementi dell’illecito civile, attesa sia l’ingiustizia del danno, in quanto lesiva del diritto fondamentale del consumatore all’autodeterminazione ex art. 2 Codice del Consumo, sia la sussistenza dell’elemento soggettivo dell’assenza “della specifica competenza ed attenzione” – se non proprio del dolo – del danneggiante, per aver Volkswagen veicolato dei messaggi pubblicitari contenenti informazioni non conformi al vero ovvero omissive, sia il nesso causale in ragione dell’idoneità di detti messaggi a trarre in errore il consumatore e, quindi, ad incidere sulle determinazioni commerciali del medesimo (…)”.

83Sul danno risarcibile e la sua quantificazione, vedi estratto della Sentenza alla nota 47.

84Tra i primi commenti si segnalano: Beate GSELL, “The New European Directive on Representative Actions for the Protection of the Collective Interests of Consumers – A Huge, but Blurry Step Forward”, in Comm.Market LawRevue, 58, 2021, p.1365; Sofia CARUSO, op.cit., anche per una ricognizione del dibattito e delle iniziative a livello UE in materia di collective redress antecedenti alla Direttiva.

85Sulla quale vedi Nicolò TROCKER, “La class action negli Stati Uniti: lo stato dell’arte”, in Vittoria BARSOTTI e al. (a cura di), op. cit., p.171.

86Sulla lenta evoluzione delle politiche UE ante Direttiva v. Giacomo PAILLI, “Unione Europea a e azione di classe: la grande assente”, in Vittoria BARSOTTI e al. (a cura di), op. cit., p.238; Alexandre BIARD, “Collective redress in the EU: a rainbow behind the clouds?”, in ERA Forum, 19, 2018, p.196; Remo CAPONI, “Ultime dall’Europa sull’azione di classe (con sguardo finale sugli Stati Uniti e il Dieselgate)”, in Foro it., 144, 2019, p.338.

87Libro Verde 19 dicembre 2005, COM(2005)672.

88Libro Bianco 2 aprile 2008, COM(2008)165.

89Libro Verde 27 novembre 2008, COM(2008)794.

90Risoluzione del Parlamento europeo, 2 febbraio 2012, GU(UE) 2013, C 239 E/05.

91Raccomandazione della Commissione, 11 giugno 2013, GU(UE) L 201/60. Vedi anche la Comunicazione della Commissione della stessa data, COM(2013)401.

92Croazia, Cipro, Repubblica Ceca, Estonia, Irlanda, Lussemburgo, Romania, Slovacchia, cfr. Relazione sull’applicazione della Raccomandazione2013/396/UE, COM(2018)40.

93Direttiva 2014/104/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 novembre 2014 , relativa alle azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell’Unione europea, GU(UE) 2014, L 349/1.

94Sulle iniziative significativamente diverse finalizzate al risarcimento degli acquirenti dei veicoli manipolati all’interno e all’esterno della UE, vedi il rapporto Beate GSELL, Thomas M.J. MOLLER (Eds.), Enforcing Consumer and Capital Market Law,Intersentia, 2020.

95Raccomandazione del Parlamento europeo 4 aprile 2017 al Consiglio e alla Commissione a seguito dell’inchiesta sulla misurazione delle emissioni nel settore automobilistico (2016/2908(RSP), punto 59).

96Il “New Deal for Consumers” si compone di una Comunicazione (COM(2018)183 def.) e due proposte di direttiva (COM(2018)184 e COM(2018)185 pubblicate l’11 aprile 2018.

97Vedi Beate GSELL, op. cit., p.1370.

98L’art.1.2 della Direttiva prevede che essa “non osta a che gli Stati membri adottino o mantengano in vigore i mezzi procedurali per la tutela degli interessi collettivi dei consumatori a livello nazionale” fermo restando che essi “provvedono affinché almeno un meccanismo procedurale (…) sia conforme alla presente direttiva”.

99Cfr. Lena HORNKOHL, “Up and Downsides of the New EU Directive on Representative Actions”, in Jour. Eur. Cons. Mark. Law, n.10, 5, 2021, p.189.

100Per un’analisi aggiornata della legislazioni dei vari Stati membri sull’ambito di applicazione dei rimedi collettivi, cfr. Sara CARUSO, op. cit., p.69, la quale giustamente evidenzia i vantaggi di un approccio “orizzontale” adottato in alcuni Paesi, tra cui l’Italia, che consente di evitare un “contenzioso di frontiera” tra materie incluse ed escluse dall’ambito di applicazione, che finisce per ostacolare l’efficacia dell’azione e l’accesso alla giustizia dei danneggiati.

101Nonostante l’art. 1.1 della direttiva affermi che essa “intende contribuire al corretto funzionamento del mercato interno”. 

102Ad esempio, un’impresa italiana che commette un illecito antitrust potrà essere convenuta in Italia in una azione di classe avviata da un’associazione di consumatori legittimata in Italia, la quale però non potrà utilizzare l’azione di classe in un altro Paese UE qualora lo stesso illecito sia stato commesso da un’impresa di quel Paese, stante la mancata armonizzazione delle azioni rappresentative e della relativa legittimazione attiva nel settore del diritto antitrust.

103L’art. 4.3 della direttiva prevede i seguenti criteri: i) essere una persona giuridica regolarmente costituita, ii) avere un oggetto sociale che prevede la tutela degli interessi dei consumatori nelle materie alle quali è applicabile la direttiva, iii) non perseguire scopo di lucro, iv) non essere insolvente, v) essere indipendente (in particolare dalle imprese), vi) dare informazioni trasparenti sul web sulla struttura, attività e fonti di finanziamento. Va segnalato che la fissazione di criteri soggettivi a livello comunitario per la legittimazione processuale degli entri rappresentativi costituisce una novità: la direttiva 2009/22/CE, in materia di azioni inibitorie a tutela degli interessi dei consumatori, pur prevedendo anch’essa il mutuo riconoscimento dei soggetti legittimati all’azione, lasciava agli Stati membri il compito di individuarne i requisiti di riconoscimento (che in Italia erano quelli previsti dall’art. 137 e segg. del Codice del Consumo per l’iscrizione delle associazioni dei consumatori al Consiglio nazionale dei consumatori e utenti).

104Altre facoltà lasciate agli Stati membri sono quella di designare come ente legittimato anche enti costituiti ad hoc per una particolare azione (art. 4.6) ed enti pubblici (art. 4.7).  

105La legittimazione attiva del singolo membro della classe è prevista anche in Bulgaria, Danimarca, Lituania, Malta, Polonia, Portogallo e Svezia, Cfr. Sofia CARUSO, op.cit., p.77,    

 106 Vedi alle precedenti note 53 e 54.

 107Vedi alla precedente nota 55.

 108Vedi alla precedente nota 56.

109Già prevista dalla Direttiva 2009/22/EC relativa a provvedimenti inibitori a tutela degli interessi dei consumatori, la quale peraltro non prevedeva requisiti armonizzati per il riconoscimento degli enti legittimati all’azione, la cui individuazione veniva sostanzialmente lasciata all’autonomia degli Stati membri.

110La direttiva definisce “azione rappresentativa transfrontaliera” quella intentata da un ente legittimato in uno Stato membro diverso da quello in cui l’ente è stato designato (art. 3 p.7) e, per converso, “azione rappresentativa nazionale” quella introdotta dall’ente nello Stato nel quale è stato designato (art.3 p.6), non rilevando altri elementi quali il domicilio del resistente o il fatto che aderiscano consumatori di altri Stati membri. Va osservato che tali definizioni risultano restrittive rispetto a quelle ricavabili dal diritto privato internazionale su giurisdizione (Reg. Bruxelles 1 bis) e legge applicabile (Reg. Roma I e Roma II), conseguendone che un caso potrebbe essere qualificato come cross-border in base al diritto int. Privato, ma non in base alla direttiva (ad esempio, quando i consumatori e il professionista risiedono in Stati diversi).

111Va ricordato che la direttiva lascia impregiudicate le regole del diritto internazionale privato, scelta che è stata criticata in quanto destinata a rendere le azioni transfrontaliere assai poco attraenti e troppo complesse, onde la azioni domestiche continueranno ad essere preferite, laddove possibile. Va ricordato che il Reg. 1215/2012 (Bruxelles I-bis) consente di convenire in Italia un’impresa straniera nei casi “contrattuali” quando l’Italia è il foro di adempimento dell’obbligazione (forum destinatae solutionis) ex art. 7.1.a) o b) del Reg.; nei casi di responsabilità extracontrattuale, se in Italia si è verificato il danno (forum commissi delicti) ) ex art. 7.2 del Reg.; oltre che nei casi in cui si possano applicare i “fori consumeristi” previsti dagli art.17 e 10 del Reg. A questo proposito, la Corte di Giustizia ha stabilito che gli enti collettivi potranno rivolgersi al giudice nazionale qualora l’evento dannoso causato da un illecito extracontrattuale del professionista di un altro Pese UE sia avvenuto nel Paese dell’ente stesso e dei consumatori ivi domiciliati (v. Corte di Giustizia, Case C-343/19, VKI/Wolkswagen, che ha riconosciuto l’applicabilità dell’art. 7.2 del Reg. 1215/2012 al caso dieselgate, dovendosi ritenere che, se il veicolo è stato acquistato in un altro Stato membro, il luogo dove si è verificato il danno si trova in quest’ultimo Stato), ma non in caso di danno da responsabilità contrattuale (Corte di Giustizia, Case C-498/16, Schrems/Facebook,  che ha escluso l’applicabilità del foro del consumatore previsto dall’art. 16.1 del Reg. 44/2001 – ora art. 18.1 del Reg. 1215/2012 – ai procedimenti avviati da un consumatore, davanti al giudice del luogo dove è domiciliato, non solo a suo nome, ma anche nell’interesse di altri consumatori  domiciliati nel suo stesso Stato membro o in altro Stato membro). Per un approfondimento delle problematiche di diritto internazionale privato non affrontate né risolte dalla direttiva, vedi Petra LEUPOLD, Private International Law and Cross-Border Collective Redress. A Legal Analysis of Jurisdiction, Applicable Law, Pendency, Recognition and Enforcement under the Representative Actions Directive 1828/2020,  LL.M. (UCLA), 2022 (https://www.beuc.eu/sites/default/files/2022-08/BEUC-X-2022-085_Private_International_Law_and_Cross-Border_Collective_Redress.pdf); Beate GSELL, op.cit., p.1374.

112L’art. 9.2 della direttiva prevede che gli Stati membri devono stabilire “come e in quale fase” dell’azione i singoli consumatori interessati possono “esprimere esplicitamente o tacitamente” la loro volontà di essere rappresentati e di essere “vincolati o meno all’esito dell’azione” e ciò “entro un limite di tempo appropriato”.

113Sul modello di “late opt-in” adottato in Francia v. Caterina SILVESTRI, op.cit, p. 219; Maria J.AZAR-BAUD, Alexandre BIARD, “The dawn of collective redress 3.0 in France?”, op. cit., p.79.

114Per maggiori approfondimenti sui modelli di altri Paesi europei e sui criteri di applicazione del sistema misto opt-in/opt-out in Belgio, Danimarca, Bulgaria, Slovenia e Paesi Bassi, v. Sofia CARUSO, op. cit., p.96.

115Cfr. Giulio PONZANELLI, op.cit, p.32.

116In Belgio, v. Corte app. Ghent, 23 marzo 2017, Lernout&Hauspie; nei Paesi Bassi, v.Corte app. Amsterdam, 29 maggio 2009, Shell; Corte app. Amsterdam, 17 gennaio 2012, Converium.

117Tribunale di Milano, 25 ottobre 2018, n. 2167 la quale, chiamato a valutare il riconoscimento di accordi transattivi intervenuti negli Stati Uniti, ha affermato che “l’ordinanza che approva un accordo intercorso nell’ambito di un’azione di classe federale statunitense è riconoscibile dal giudice italiano perché l’estensione dei suoi effetti vincolanti, basati sul c.d. opt-out, soddisfa i criteri di garanzia minima del diritto di difesa relativi alla formazione e garanzia del contraddittorio e non contrasta con l’ordine pubblico”.

118Nel quale vengono pubblicati il ricorso introduttivo e il decreto di fissazione dell’udienza (art. 840-ter co.2), l’ordinanza di ammissibilità (art.840-ter co.4), la cancellazione dal ruolo delle ulteriori azioni avviate (art.840-quater co.2), la sentenza di accoglimento o rigetto (Art.40-quinquies ult. co.), le domande di adesione (art. 840-septies co.1), lo schema di transazione (art.840-quaaterdecies co.4), l’autorizzazione del giudice alla sottoscrizione della transazione da parte del rappresentante comune (art. 840-quaterdecies co.6), gli atti di impugnazione della sentenza (art.840-decies co.1).

 119Salva l’applicabilità, in caso di azione di classe per illeciti antitrust, della norma speciale prevista in materia di prescrizione dal d.lgs. 3/2017, su cui vedi nota 76.

120Nel caso Altroconsumo/Trenord (Sent. Corte d’Appello Milano 25 agosto 2017, n.3756; Cass. 31 maggio 2019 n.14886) a ben 3.118 aderenti, su complessivi 6.136, non è stato riconosciuto il risarcimento a causa dell’avvenuta prescrizione annuale dei loro diritti (ex art. 2951 c.c. in materia di contratto di trasporto), termine che era già scaduto al momento della ordinanza di ammissibilità dell’azione.  Cfr. Beatrice ZUFFI, “Arriva la prima maxi condanna di classe, anche se i diritti di molti aderenti risultano prescritti…”, in Corr. Giur., n.2, 2018, p.243.

121Nel caso Altroconsumo/Trenord citato alla nota precedente, gli aderenti risarciti avevano “pre-aderito” all’azione pubblicizzata dall’associazione nell’imminenza dei fatti, il che aveva consentito a quest’ultima di raccogliere i dati degli interessati e di interrompere la prescrizione con un unico atto inviato a nome e per conto di tutti i “pre-aderenti”. 

 122Ilaria PAGNI, op. cit. 

123La giurisprudenza infatti ha interpretato in senso piuttosto ampio il novero dei rimedi ottenibili attraverso l’azione inibitoria  ex art. 139 e 140  cod. cons. includendovi ad esempio la condanna dell’impresa a non rifiutare le richieste di risarcimento o restituzione avanzate dai singoli sulla base di argomentazioni ritenute infondate (Trib. Milano 15.09.2004; Trib. Palermo 29.05.2006), il diritto alla restituzione del credito residuo da parte dell’operatore telefonico (Trib. Roma 23.05.2008), misura che si pongono al limite con il risarcimento, come confermato da Cass 18.08.2011, n.17351 la quale afferma che, “anche in precedenza all’approvazione dell’art. 140 bis, gli enti esponenziali – pur non essendo legittimati a proporre le vere e proprie azioni risarcitorie individuali – potevano far valere l’interesse generale e comune ad un’intera categoria di utenti o di consumatori a che venisse accertata l’esistenza dei presupposti per l’esercizio dei diritti risarcitori di serie, facendo valere l’interesse comune all’intera categoria degli utenti (dei servizi assicurativi) ad ottenere una pronuncia di accertamento su aspetti quali l’esistenza dell’illecito, della responsabilità, del nesso causale fra l’illecito e il danno, dell’esistenza ed entità potenziale dei danni (a prescindere dalle peculiarità delle singole posizioni individuali), ed ogni altra questione idonea ad agevolare le iniziative individuali, sollevando i singoli danneggiati dai relativi oneri e rischi”. Si noti che una decisione di tal fatta di fatto coincide, ora, con la sentenza di accertamento e condanna generica prevista dall’art.840-sexies c.p.c.

 124Cfr. Giorgio AFFERNI, op. cit., p.447.

125Va fatta salva anche in tal caso la disciplina speciale in materia antitrust ex d.lgs. 3/2017, applicabile anche alle azioni di classe derivanti da illeciti in tale settore, secondo la quale il giudice ordinario è vincolato alle decisioni definitiva della Commissione UE e dell’AGCM che accertano una violazione della concorrenza (art. 7 co.1).

126Sulla particolare fattispecie della cessione del credito risarcitorio, modello frequentemente utilizzato dai litigation fund (ma difficilmente applicabile all’azione di classe consumerista, che presuppone l’adesione personale dei consumatori interessati), v. Giorgio AFFERNI, “La cessione del credito risarcitorio per la violazione del diritto antitrust”, in Riv. Dir. Comm. Int., 31, 2017, p.909.

127Va peraltro osservato che la stessa direttiva, in tema di spese di lite, conferma il principio della soccombenza (loser-pays rule), prevedendo che la parte soccombente in un’azione rappresentativa risarcitoria è tenuta a pagare le spese del procedimento sostenute dalla parte vincitrice in base alle regole previste dal diritto nazionale applicabili ai procedimenti giudiziari in generale (art.12).

128Salvo ricordare la misura, utile ma insufficiente, che prevede l’anticipazione a carico del resistente dei costi di CTU (art.840-quinquies co.4).

129Art. 3 del d.lgs.3/2017, attuativo della direttiva 2014/104/UE.

130Anche il terzo peraltro, del tutto contraddittoriamente, è sanzionabile in caso di distruzione di prove rilevanti (art. 840-quinquies co.12).

 

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