Una decisione che, come un fulmine a ciel sereno coinvolge la Banca Centrale europea (BCE) e il suo programma di misure “non convenzionali” meglio noto come quantitative easing (Qe).
L’atteggiamento del Bundesverfassungsgericht non è nuovo giacchè non è la prima volta che il Tribunale costituzionale tedesco si pone in contrapposizione alle decisioni della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) e, per specificare meglio, al diritto dell’Unione europea complessivamente inteso. Anche la Corte costituzionale italiana ha avuto negli anni un’atteggiamento dello stesso tipo passando da momenti di “pax europea” a conflitti importanti con la CGUE. Evidentemente la sentenza non aiuta a rasserenare gli animi nel perdurante scetticismo di ampie fasce di cittadini italiani nei confronti dell’Unione europea, peraltro da ultimo alimentata dalla querelle intorno al famigerato MES e alle linee di credito in aiuto agli Stati membri a causa del COVID-19. Anzi, la sentenza funge da detonatore gettando altra benzina sul fuoco alle già pretestuose argomentazioni di chi, contrario all’integrazione europea, “a prescindere”, disporrà di ulteriori argomenti da sciorinare dalle ribalte mediatiche.
Alcune considerazioni preliminari dal punto di vista strettamente giuridico in due battute:
1) può la Corte costituzionale di uno Stato membro (per quanto autorevole) porre un ultimatum, parlerei di una vera e propria intimidazione, alla Banca Centrale europea (BCE) organo indipendente ed autonomo? La risposta è a mio avviso negativa; ancorchè il principio di leale cooperazione può essere applicato alla fattispecie. Dal che, a mio avviso, si evincerebbe un’azione ultra vires (“riconvenzionale”) del medesimo Tribunale costituzionale che, ironia della sorte, ha imputato alla BCE di esorbitare dalle sue competenze. Sia dal punto di vista dei rapporti tra ordinamenti giuridici – e la (intermittente) prevalenza sui diritti nazionali del diritto unionale direttamente applicabile – con particolare riguardo a princìpi e assiomi che da tempo apparivano assimilati e soprattutto digeriti. Ma in tempo di crisi di lunga durata forse non è così.
2) Continuando sull’argomentazione precedente ci si chiede: sempre nella prospettiva della leale cooperazione perchè il Tribunale tedesco non ha ipotizzato un giudizio dinanzi alla CGUE con un (naturale) rinvio pregiudiziale ex art. 267 Tfue in una normale dialettica tra le Corti? Si potrebbe ribattere che la Corte di Giustizia UE si è già pronunciata nelle sentenze precedentemente citate e che quindi il rinvio non avrebbe avuto esito diverso. Daccordo. Se si accoglie questa ipotesi, di conseguenza, cade anche l’obbligo di rinvio – obbligatorio per le Corti avverso le cui sentenze non è più possibile presentare un ricorso ex art. 267, terzo comma – laddove vi è una giurisprudenza (consolidata?) della Corte di giustizia in materia (sentenza 6 ottobre 1982, Causa 283/81, Cilfit, ECLI:EU:C:1982:335).
Il Tribunale costituzionale, con una vera e propria provocazione (quanto ai toni usati) e in spregio delle decisioni della Corte di giustizia che si era già pronunziata (in parte) sulla stessa materia1, ha ritenuto, in questa occasione, che la BCE nell’applicare del Pspp (Public Sector Purchase Programme) il programma di acquisto di titoli pubblici (c.d. “Bazooka”) potrebbe comportare effetti economici sproporzionati (nella sentenza si richiama la violazione del principio di proporzionalità da parte della BCE) rispetto alle competenze di politica (esclusivamente!) monetaria, in particolare, il rigido controllo dell’inflazione che BCE è chiamata ad far rispettare. Il Pepp (Pandemic Emergency Purchase Program) per le misure post-Coronavirus non sarebbe, il condizionale è d’obbligo, coinvolto.
Ancora, la BCE avrebbe eccedutole nell’eserizio delle proprie competenze e quindi dal mandato che gli Stati membri hanno ad essa assegnato tramite la firma e la ratifica dei Trattati. La BCE avrebbe violato il principio di proporzionalità nel senso di non aver valutato costi e benefici, vantaggi e svantaggi, dello strumento monetario non convenzionale rientrante nel Qe. Misure non convenzionali ma pur sempre azionabili in determinate situazioni emergenziali.
D’altronde, il Consiglio direttivo della BCE rimane impegnato a porre in essere tutte le misure necessarie, nel rispetto del suo mandato, per assicurare che l’inflazione si mantenga a livelli coerenti con il suo obiettivo a medio termine e sottolinea che già nel dicembre 2018 la Corte di giustizia dell’Unione europea aveva già chiarito che la BCE ha agito, e agisce tutt’oggi, nel rispetto del suo mandato con riguardo al mantenimento della stabilità dei prezzi e rivendicando altresì l’indipendenza dell’istituzione.
Inoltre, il Tribunale costituzionale con fare autoritativo intima alla BCE ( e chissà se si riferisce anche alla Corte di giustizia?) di rispondere entro il termine perentorio di “tre mesi” pena il ritiro (auto-sospensione?) della Bundesbank dal programma di acquisto dei titoli di Stato Pepp minacciando di rivendere i titoli di Stato già acquistati.
Quid iuris? Se non si raggiungerà una composizione saggia della controversia anche l’Italia potrebbe subire le scelte del Tribunale costituzionale tedesco (che però sono state accolte con evidente favore da parte di chi ha subito affermato che il governo tedesco fa gli interessi dei propri cittadini). Staremo a vedere.
Di sicuro la decisione alimenta sentimenti anti-germanici. Come detto. E sul piano interno all’Unione europea inasprisce i rapporti inter-istituzionali in questi anni ai minimi termini.
Altro che “leale collaborazione” (art. 4, par. 3 TUE) ovvero rispetto del principio “costituzionale” di solidarietà più volte richiamato nei trattati.
1 Ricordo sui programmi Qe e Outright Monetary Transactions (OMT) della BCE, le sentenze CGUE del 27 novembre 2012, Pringle, C-370/12, EU:C:2012:756; 16 giugno 2015, Gauweiler e a., C-62/14, EU:C:2015:400 e, soprattutto, 11 dicembre 2018, Sezione Grande, Heinrich Weiss e a., C-493/17, ECLI:EU:C:2018:1000 a seguito del rinvio pregiudiziale della Corte costituzionale tedesca.
Non possiamo tuttavia dimenticare che dal 2007 (inizio del fallimento Lehman Brothers) l’Europa è in una devastante crisi duratura, direi permanente, fino ai nostri giorni della pandemia COVID-19. Il che ha aggravato i già difficili rapporti dei cittadini europei nei confronti dell’Unione Europea.
Da recenti sondaggi SWG risulterebbe che la fiducia dei cittadini nei confronti dell’Unione è crollata del 30%: ad esempio la fiducia nell’Unione europea complessivamente intesa sarebbe passata dal 42% del settembre 2019 al 27% dell’aprile 2020. La Commissione europea che rappresenta l’anima e nello stesso tempo l’interesse comune è passata dallo stesso mese di settembre 2019 dal 41% al 24% sempre nell’aprile 2020; così la BCE dal 43% al 25% di consensi.
Questi dati vanno interpretati alla luce gli altri sondaggi che riguardano più in generale i rapporti tra Stati membri. Ad esempio il 45% degli italiani considera la Germania un Paese nemico e ben il 52% considera la Cina un Paese amico. Dati a mio avviso sorprendenti che tuttavia rispecchiano una prevalente narrazione contraria all’integrazione europea che propone l’Unione come un carrozzone sgangherato “comandato” dalla Germania che rappresenta la causa di tutti i nostri malessiri e quindi il capro espiatorio di tutte le nostre sofferenze.
A me pare che le problematiche sono da ricercare, da un lato, nel periodo di crisi oramai più che decennale che ha esasperato gli animi e innescato difficili conflitti sociali; dall’altro, non posso non sottolineare il modo di agire e la qualità della classe politica che evidenzia la mancanza di adeguate competenze in materia e in un’ambito diplomatico tanto complesso.